L’Aquila. Come raccontare il dolore? A volte è molto difficile. Ieri, le salme delle ennesime vittime di un Abruzzo tempestoso scorrevano dinanzi al pianto di tante persone. Ettore, Walter, Gianmarco, Mario, Giuseppe e Davide sono i nomi di chi non ce l’ha fatta. Alle diciassette, all’obitorio dell’ospedale San Salvatore, tra parenti e amici, c’erano tante giacche rosse. Uomini e donne del Soccorso Alpino, nel loro ultimo saluto ai tre compagni perduti.
Sembravano una grande famiglia, uniti nel silenzio. Insieme a loro diversi infermieri, amici e colleghi di alcune delle vittime. Sono morti ai piedi di un grande canalone, tra le raffiche di neve. Due di loro, Walter e Davide, in questi giorni erano stati su a Rigopiano, tra gli eroi con le pale in spalla a togliere la neve per trovare le vittime di quella tragedia. Come raccontare il dolore? In questi momenti il mestiere del giornalista diventa un fardello insopportabile: ci si sente di troppo, si vorrebbe sparire. All’arrivo della prima ambulanza, scoppia il dolore dei familiari e sovrasta ogni cosa, anche la forza di parlare, di cercare di capire. Rimangono davanti l’obitorio fino a sera, in attesa di poter vedere un’ultima volta i loro cari. Alle diciannove il direttore generale della Asl Rinaldo Tordera li riceve uno a uno, supportato da alcuni psicologi. La situazione è drammatica. Cala la sera, ed ecco un’altra giornata di morti. Dopo i terremoti, dopo la neve, dopo la tragedia di Rigopiano, altri piangeranno i loro cari. Ma l’Abruzzo lacerato continuerà a combattere. @DiegoRenzi


