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L’Onorevole D’Alfonso sul Decreto Fondo per la montagna: un appello al dialogo territoriale

Marta Rosati di Marta Rosati
21 Dicembre 2025
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Pescara. “La fotografia è chiara: da una parte c’è un governo abruzzese di area meloniana che spende fiumi di inchiostro e risme di carta, elargendo mance di assoluto rilievo, con il pretesto di rilanciare le aree interne, i borghi medievali, addirittura le vie della transumanza, per impedirne lo spopolamento, la dismissione dei servizi, la chiusura dei presidi sanitari e delle scuole. Dall’altra parte c’è quello stesso governo meloniano di livello nazionale che abbatte la sua scure su quelle stesse aree interne e con un decreto-canaglia esclude da risorse vitali comuni montani ai quali viene cancellata la propria identità.” così si esprime l’onorevole D’Alfonso sull’esclusione di 50 comuni dal Decreto Fondo per la montagna.

“Oggi, attraverso un’operazione chirurgica di riscrittura dell’orografia territoriale, scopriamo che paesi come Penne, Pietranico, Cermignano, o Roccamontepiano, secondo gli uffici ministeriali romani non sono più comuni montani, dunque non meritano di accedere ai finanziamenti di sostegno destinati a tali aree.

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Con la nuova legge sulla Montagna (n. 131/2025), in vigore dal 20 settembre per essere considerato montano, ogni comune deve soddisfare almeno uno di 3 criteri:

  • Almeno il 25% della superficie comunale deve trovarsi sopra i 600 metri sul livello del mare e il 30% della superficie con pendenza pari o superiore al 20%;
  • Avere un’altitudine media superiore a 500 metri;
  • Essere “intercluso”, vale a dire che pur non rispettando i limiti della quota altimetrica media, si è considerati montani in virtù della contiguità di comuni che rispondono ai primi due criteri;

Il terzo criterio sembrerebbe essere l’unico a tenere conto della relazione di contesto tra comunità e ambiente, dacché un comune chiuso a tenaglia da comuni montani è probabile che presenti una dimensione socio-economica non dissimile dai centri vicini. È evidente che dietro il rinnovamento dell’elenco si celi un ridimensionamento inaccettabile della distribuzione delle risorse, 200 milioni di euro indirizzati a scuole, sanità, incentivi alla residenzialità giovanile e altre linee di intervento.

Conseguentemente alla nuova definizione, da 4201 comuni montani si passa a 2844 e degli oltre 1100 comuni finora considerati montani molti sono distribuiti lungo l’arco appenninico. In Abruzzo, da 220 la ridefinizione contrarrebbe l’elenco a 169 escludendo centri che nel rapporto con la montagna riconoscono il carattere distintivo della propria eredità economica e culturale, nonché il piano contemporaneo dei processi di valorizzazione e gestione del territorio.

Basti pensare ai flussi storici di agricoltori che da Abbateggio, risalendo lungo i pendii della Valle Giumentina, composero il paesaggio delle capanne pastorali innalzando i limiti altimetrici delle colture nei tempi emergenziali della fine del Settecento, affrontando i contraccolpi del tramonto dei Tratturi e dell’aumento demografico. Non è certo casuale che il centro oggi ospiti il Premio Nazionale di Letteratura Naturalistica Parco Majella. Eppure l’abitato sfugge all’elenco per ragioni quantitative, inabissando la dimensione montana come condizione storica prima che altimetrica.

Una visione del genere non è sinonimo di miopia, non è una svista del signor Magoo, ma è sintomo di irresponsabilità. Significa che un signor qualcuno si è limitato a prendere una cartina geografica, un pennarello, un righello, e si è divertito a ridisegnare dei perimetri territoriali senza conoscere alcunchè di quelle aree geografiche, delle peculiarità, delle caratteristiche, delle necessità, delle organizzazioni di vita e di quotidianità.

Perché chi ha scritto il decreto non sa che la signora Maria che abita a Farindola, comune montano, per fare una visita in ospedale, va a Penne, o per risolvere una bolletta dell’acqua potabile deve raggiungere gli sportelli Aca di Penne o Loreto Aprutino, che non sono più montani. Ma se non ci sono le risorse per sistemare la strada di collegamento tra Farindola e Penne, perché vengono meno le risorse, la signora Maria non andrà in ospedale e non potrà sanare i suoi problemi con l’Aca. E i figli della signora Maria decideranno di andare via da quel comune arroccato sulla montagna e isolato dal resto del mondo, portando via anche la madre anziana

Quel decreto racconta una colpevole irresponsabilità che dimentica la definizione stessa di ‘area montana’: territorio prevalentemente montuoso che comprende montagne, valli e altipiani situati ad alta quota, caratterizzato da un ambiente naturale specifico, da un clima più rigido, da una vegetazione e da attività umane adattate alle condizioni di altitudine e di pendenza. Ripartendo da tale consapevolezza, come può l’estensore di un decreto pensare che comuni come Penne, Cermignano o Roccamontepiano, solo per fare tre esempi, non appartengano a una classificazione di ‘area montana’?

E sbagliano quei sindaci che chiedono l’adozione di criteri ancora più stringenti per rendere l’accesso al Fondo una misura esclusiva ad appannaggio di pochi. Penso al sindaco di Gamberale che, a fronte dei suoi 270 abitanti residenti, non ha forse ben compreso che ridurre il numero di paesi abruzzesi che avranno la possibilità di utilizzare le somme stanziate sulla carta, non farà aumentare la quota del contributo destinato al suo territorio.

Piuttosto significa che le somme in meno spese in Abruzzo verranno ridistribuite altrove, in altre regioni dove si esercita la sana politica dell’inclusività, dove nessuno ha mai pensato di cancellare la sacra istituzione delle Comunità montane, dove i piccoli territori si uniscono anziché dividersi per la gestione condivisa dei servizi e delle buone pratiche. E se i bambini di Gamberale non avranno la possibilità di utilizzare strade sicure per raggiungere le scuole di Ateleta o Pizzoferrato, probabilmente non lasceranno quelle scuole, ma i genitori decideranno di lasciare quel paese arroccato sulla montagna

Dinanzi a un tale orrore amministrativo, credo sia evidente che quel Decreto debba essere bocciato, cancellato e riscritto. Dall’ampio spettro di critiche suscitato dalle parole di Calderoli occorrerà tessere una stagione di concertazione e dialogo sul significato della montagna, per accorciare la distanza tra i diversi livelli di governo territoriale e ricomporre la disattenzione geografica dei ministeri di questo governo. La definizione dei criteri per i comuni montani rappresenta oggi una sfida complessa che richiede di ampliare il dialogo tra i diversi livelli di governo: Stato, Regioni, Province e Comuni devono collaborare in maniera trasparente e condivisa, affinché le scelte tecniche riflettano non solo parametri altimetrici o morfologici, ma anche la dimensione valoriale dei territori.

In questo senso, la consultazione ampia e il coinvolgimento delle comunità locali non sono un semplice adempimento burocratico, ma un elemento essenziale nel garantire politiche di sostegno efficaci e coerenti. Nel 1922 lo storico Lucien Febvre osservava con chiarezza come la tentazione di concepire la montagna quale entità “unitaria”, galleggiante su una linea di quota, costituisse una “chimera unitaria” e, come tale, una “pericolosa follia”.

La sua e la voce di illustri accademici e politici del nostro Paese che hanno tentato di raffinare la percezione centralizzata delle aree montane (veicolata da visuali prospettiche stereotipate e da una gerarchia dei provvedimenti che ha incistato la dicotomia urbano-rurale), non è stata ancora metabolizzata a dovere e trasformata in criterio – questo sì, rigido – di programmazione territoriale”.

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