L’Aquila. Cresce la popolazione dei camosci in Appennino. Sono oltre 2.700 gli esemplari dell’ultimo censimento che si riferisce al 2015, con un incremento del 45% sull’anno precedente. Lo rende noto Legambiente considerandolo un risultato importante e ricordando che all’inizio del ‘900 nell’area che poi sarebbe diventata il futuro Parco Nazionale d’Abruzzo sopravvivevano poco più di 30 esemplari di camoscio appenninico, un numero troppo esiguo per garantire la sopravvivenza di questo animale che si trova esclusivamente nei parchi dell’Appennino (Majella; Abruzzo, Lazio e Molise; Gran Sasso Monti della Laga; Monti Sibillini, Sirente Velino) e in nessun altra parte del mondo. La notizia viene diffusa alla vigilia del ‘Camoscio Day’: 25 anni fa, il 29 luglio 1991, gli studiosi lanciarono l’obiettivo 200020002000, cioè ripopolare l’Appennino centrale con almeno duemila camosci, oltre i 2000 metri d’altitudine (l’habitat ideale di questa sottospecie endemica), entro gli anni 2000. La data del Camoscio Day, cade nell’ultima tappa della “Carovana del camoscio appenninico”, la campagna itinerante di Legambiente per promuovere le buone pratiche di tutela della specie, che proprio a Farindola nel Parco Nazionale del Gran Sasso Monti della Laga, dedicherà un intero fine settimana al camoscio, con convegni, laboratori didattici per bambini, degustazioni di prodotti tipici ed escursioni in montagna per osservare i camosci nel loro habitat naturale. Oggii sarà firmata la ‘Carta di Farindola’ per la tutela del camoscio, per rinsaldare la collaborazione tra i Parchi e le Comunità locali che, grazie alla presenza delle aree faunistiche, hanno permesso il successo delle attività di conservazione del camoscioLa presenza dei camosci parco per parco Parco della Majella, ormai ha abbondantemente superato il totale di 1100 individui, ad oggi quindi è la più grande popolazione di camosci appenninici al mondo (essendo tale camoscio endemico, e quindi presente solo da noi in Italia centrale in particolare). Parco dei Monti Sibillini, per quella che fino a non molto tempo fa era chiamata la neocolonia (ora la neocolonia è il Sirente Velino) si contano ad oggi circa un centinaio di animali totali, un ottimo numero perché raggiunto in pochi anni (il primo rilascio in natura è avvenuto nel 2008). Una delle azioni chiave era proprio il rafforzamento di questo nucleo. Nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise gli ultimi dati disponibili dai censimenti (autunno 2015) indicano la presenza di 523 individui in quella che è ricordata come la colonia madre, unica area al mondo da dove questo animale non è mai scomparso. Nella necolonia del Parco regionale Sirente Velino invece, tutto come da programma: l’introduzione dei primi animali (avvenuta nell’estate del 2013) è andata molto bene, è proseguita con apporti provenienti sia dal parco della Majella, sia dal Parco del Gran Sasso e sia dalla giovane colonia dei Monti Sibillini che, per la prima volta nella sua storia, è diventato anche lui donatore di camosci. Era questa una delle azioni più importanti. La popolazione, tra gli esemplari immessi fino ad ora e le nuove nascite registrate di anno in anno, ha raggiunto una un numero di 31 individui totali accertati . Da ricordare anche il ruolo importante svolto dalle aree faunistiche. Gli animali stanno esplorando il monte Sirente in questi giorni. In salute anche la popolazione del Parco del Gran Sasso, parco coinvolto nel progetto soprattutto per il suo ruolo di donatore di camosci come la Majella, che ha una popolazione che si attesta oltre i 1000 esemplari. Qualche notizia sul camoscio Il camoscio più bello del mondo, come viene unanimemente definito dagli zoologi il camoscio appenninico può essere considerato a pieno titolo un ambasciatore dei Parchi Italiani. Non solo rappresenta un caso di successo internazionale per le politiche di conservazione di una specie a rischio, ma la sua tutela è legata strettamente a quella del territorio in cui vive e alle politiche di istituzione delle aree protette. Insomma, se non ci fossero stati i Parchi dell’Appennino con tutta probabilità il camoscio non sarebbe sopravvissuto. Il camoscio appenninico non va confuso con il più diffuso camoscio alpino che è proprio una specie diversa (Rupicapra rupicapra), ampiamente diffuso sull’arco alpino, che gode di un regime di protezione inferiore, maggiormente imparentato con i camosci nordorientali, rispetto a quello appenninico che invece appartiene ai camosci sudoccidentali, che lo rendono più simile ai camosci presenti in Spagna.