Roma. Qualcuno ha constatato che, ogni volta che nella Capitale vengono rivenute ossa umane, i giornalisti ipotizzano che possano appartenere a Emanuela Orlandi, scomparsa il 22 giugno 1983. Forse si tratta di una generalizzazione. Ma certamente, è l’eventualità che gli organi di stampa stanno prospettando con insistenza in queste ore, con riferimento alle ossa recuperate il 24 luglio scorso in un padiglione dell’ospedale San Camillo.
Tutto è iniziato la mattina presto. Un operaio era impegnato in lavori di ristrutturazione presso il nosocomio della Circonvallazione Gianicolense. Ha notato qualcosa di strano tra i rifiuti posti al piano terra, nel vano di uno degli ascensori del Monaldi, un padiglione dismesso. Si è avvicinato e si è trovato di fronte a delle ossa. Sono in breve giunti in loco i Carabinieri della stazione Monteverde e del Nucleo investigativo di via in Selci, insieme al medico legale. La zona è stata posta sotto sequestro e transennata, i tecnici hanno provveduto a effettuare i rilievi di rito. La notizia è stata immediatamente trasmessa alla Procura della Repubblica, che ha avviato ufficialmente un’indagine. Le ossa sono state ben presto identificate come umane. Si attendono gli esiti degli ulteriori accertamenti volti a individuare quanti più dati possibili sulla persona cui i resti appartenevano (i cosiddetti “fondamentali” dell’antropologia forense: razza, sesso, età e statura) e, se possibile, le cause del decesso.
Nel frattempo, come accennato, si è prospettata la possibilità che le ossa appartengano a Emanuela Orlandi, sulla cui scomparsa – come su quella di Mirella Gregori, risalente al 7 maggio 1983 – è attualmente impegnata a indagare la Commissione bicamerale di inchiesta presieduta dal senatore Andrea De Priamo. Su cosa si basa tale ipotesi? Per il momento, ci sembra di poter affermare, su nulla di concreto, salvo la pervicace volontà di crederlo.
Un elemento idoneo a suggerire tale scenario sarebbe costituito dalla vicinanza dell’ospedale in cui il ritrovamento è avvenuto all’appartamento nel quale, secondo Sabrina Minardi – negli anni Ottanta legata sentimentalmente al boss della Banda della Magliana Enrico De Pedis – sarebbe stata tenuta nascosta Emanuela. Nel marzo 2006, Minardi si è presentata in Questura asserendo di essere a conoscenza di quanto appunto accaduto alla giovane cittadina vaticana scomparsa.
“L’ha rapita la Banda della Magliana”, ha affermato. “È stata presa da Ciletto, Angelo Cassani, e Gigetto, Gianfranco Cerboni su ordine di Renatino [soprannome di Enrico, ndr] De Pedis. L’hanno nascosta a casa mia a Torvajanica per un periodo e poi l’hanno riportata a Monteverde. Alla fine è stata eliminata. C’entra monsignor Marcinkus.”
Secondo questa narrazione, quindi: dopo il rapimento, Emanuela Orlandi sarebbe stata condotta e trattenuta per un certo periodo nella casa di Minardi a Torvajanica, sul litorale a sud della Capitale (dove, a prestar fede alle “visioni” della contadina francese Sophie L., la giovane sarebbe stata sepolta).
Nella casa al mare, la Minardi ha asserito di rammentare anche la presenza di monsignor Paul Marcinkus, nel 1983 direttore dello Ior. Diverse fonti, anche interne al Vaticano, sostengono che il monsignore avrebbe avuto rapporti economici con la Banda della Magliana. Lo stesso – secondo altre voci riportate da Fanpage – sarebbe stato aduso a partecipare a festini a sfondo sessuale organizzati in un appartamento a viale Angelico, dove la stessa Minardi ha affermato di aver accompagnato alcune prostitute. Secondo un dipendente dei Musei Vaticani, da giovane conoscente della Orlandi, a Marcinkus “non gli importava del ruolo istituzionale, solo del potere assoluto del denaro. Aveva molti vizi. Si ubriacava. E quando aveva esigenze sessuali, sicuramente le soddisfava.”
Dunque, una sera a Torvajanica, l’alto prelato si sarebbe presentato presso l’abitazione della Minardi e si sarebbe chiuso in camera con Emanuela. La compagna del boss della Banda della Magliana ha riferito di aver sentito le grida della giovane e i suoi pianti, tanto da aver pensato a uno stupro.
Proseguiamo. Una volta lasciata la casa sul litorale, Emanuela Orlandi sarebbe stata trasferita in uno stabile di via Alessandro Pignatelli numero 13, nel quartiere Monteverde. Lo stesso in cui si trova il predetto ospedale San Camillo. Secondo Minardi, deceduta nel marzo 2025 e non audita dalla Commissione bicamerale d’inchiesta, l’immobile sarebbe stato scelto perché provvisto di ampi sotterranei, idonei a nascondervi la ragazza.
Tempo dopo – sempre secondo quanto riferito dalla Minardi – Emanuela sarebbe stata condotta da lei ed Enrico De Pedis a porta di San Pancrazio: qui i due l’avrebbero consegnata a un uomo con la tonaca. Ci chiediamo: è credibile che qualcuno si rechi a prendere in consegna una persona sequestrata da esponenti della Banda della Magliana indossando un abito talare, evidentemente idoneo a essere notato da eventuali testimoni? A titolo personale avremmo optato per una tenuta più dimessa. La stessa dichiarante avrebbe peraltro affermato, in altre occasioni, di aver accompagnato invece la Orlandi all’aeroporto di Ciampino, dove sarebbe stata imbarcata su un volo diretto nei Paesi arabi.
In generale, la credibilità della Minardi costituisce tema dibattuto tra coloro che si interessano della vicenda di Emanuela. Senza pretese di giungere in proposito a valutazioni conclusive, ci permettiamo solo di riportare quanto considerato in merito nell’ottobre 2015 dal Gip di Roma, Giovanni Giorgianni, come citate in un approfondito articolo del giornalista di inchiesta Tommaso Nelli, pubblicato su sito Spazio70: “Emergono dunque in tutta evidenza le contraddizioni e le inverosimiglianze che hanno caratterizzato le dichiarazioni della Minardi.”
Altro indizio che, secondo la richiamata narrazione, avvicinerebbe il rinvenimento delle ossa all’ospedale San Camillo alla scomparsa della Orlandi è quanto sostenuto da alcuni collaboratori di giustizia: la Banda della Magliana sarebbe stata solita custodire armi proprio nei padiglioni dismessi del nosocomio romano. Mancherebbero, tuttavia delle conferme in tal senso.
Come è stata accolta la notizia del rinvenimento delle ossa umane da chi, da tanto tempo, si sta impegnando nella ricerca di Emanuela? Il fratello Pietro, parlando con Fanpage, si augura “sinceramente che non siano le sue”. E l’avvocata Laura Sgrò, che assiste la famiglia Orlandi, precisa che, fino a quando non disporremo di dati scientifici certi, non può che parlarsi di suggestioni: “Prima occorre ricostruire il profilo della persona a cui appartenevano i resti rinvenuti nei giorni scorsi e se coincide con una ragazza giovane e le ossa risalgono a quaranta anni fa, si può procedere con il test del Dna.”
In ogni caso, a quanto si legge proprio sul richiamato quotidiano on line, secondo le prime deduzioni le ossa in questione non sarebbero più vecchie di otto anni. È poi opportuno tener presente che, negli scorsi decenni, i padiglioni abbandonati dell’ospedale hanno costituito rifugio per persone senza fissa dimora e ritrovo di persone in difficoltà.