Pavia. La possibilità che il delitto di Chiara Poggi, uccisa a Garlasco il 13 agosto 2007, possa porsi in relazione con riti e organizzazioni riconducibili al milieu occultistico-satanico si è più volte prospettata, in questi mesi, almeno in ambito giornalistico. Da questo punto di vista, la vicenda non fa eccezione rispetto ad altri omicidi (o serie di omicidi) di cui risulta arduo chiarire in modo definitivo dinamiche, motivazioni e responsabili.
In questi casi si evocano puntualmente le sette sataniche e consimili, inquietanti consessi, ma anche la massoneria deviata, i servizi segreti, parimenti deviati, etc. In attesa, quindi, di leggere sul giornale che anche il delitto di Garlasco potrebbe inscriversi in una intricata spy-story internazionale, cercheremo di esplorare l’“opzione satanista”, basandoci su quanto riportato dagli organi di stampa, nel tentativo di valutarne – certo in via del tutto teorica – l’intrinseca consistenza.
L’ombra del satanismo
Quando si affronta un argomento del genere, è concreto il rischio di interpretare semplici vezzi comportamentali in uso tra i giovani come vere e proprie attitudini criminose inscritte in un contesto dottrinale di matrice satanica. Dunque, anche in questo caso, è d’obbligo procedere con ogni cautela, cercando di non scadere nel banale pettegolezzo, nelle mere asserzioni sensazionalistiche.
Il giornalista Luigi Grimaldi, autore di vari servizi della trasmissione Le iene dedicati al delitto di Garlasco, ha recentemente rilasciato un’intervista in tema al settimanale Giallo. Nell’articolo che la riporta, apprendiamo un dettaglio relativo all’attuale indagato per il delitto, Andrea Sempio, amico del fratello della vittima.
Il dettaglio in questione potrebbe se non altro attestare, all’epoca dei fatti, un interesse di Sempio per l’iconografia occultistico-satanica. Il giovane seguiva allora pagine dedicate ai culti pagani e risultava iscritto a un “clan predator” coordinato da un “motivatore” che spesso si faceva riprendere in video con la testa di Satana. Si dirà: ragazzate, comportamenti diffusi, che nulla hanno a che vedere con il delitto, semmai attestanti l’operatività di note dinamiche di contagio sociale tra i giovani di un determinato contesto.
Andiamo avanti. Uno degli amici di Sempio, Mattia Capra, postava su Internet simboli, occhi, immagini e simboli inquietanti. Elemento significativo? Ancora non ne siamo convinti: l’interesse per il macabro, per il tenebroso e per l’orrido non è insolito, lo abbiamo detto, tra i giovani e porlo necessariamente in correlazione con effettive attitudini criminali suonerebbe invero inappropriato e pericoloso. Porterebbe a conclusioni grottesche come, ad esempio, che tutti gli spettatori entusiasti dei film di Dario Argento siano serial killer o cultori della stregoneria.
Ma proseguiamo ancora. Un altro amico di Sempio, Michele Bertani, si è tolto la vita, impiccandosi, nel marzo 2016. Nella richiamata intervista a Giallo, Luigi Grimaldi menziona alcuni elementi a suo dire significativi. Prima del suicidio, il giovane avrebbe palesato un intenso stress, sembra che si sentisse seguito, perseguitato. Nel gennaio 2016, due mesi prima di impiccarsi, il giovane ha condiviso su Facebook una sua fotografia scattata presso il Santuario della Madonna della Bozzola (dove si praticavano esorcismi e il cui Rettore era rimasto coinvolto, nel 2014, in uno scandalo sessuale): l’immagine lo ritraeva accanto a una statua che, spiega Grimaldi, rappresenta “un vortice che risucchia.” Associato alla foto, il verso di una canzone dei Club Dogo: “La verità sta nelle cose che nessuno sa!!!/La verità nessuno mai te la racconterà.” Com’era prevedibile, il post in questione sta costituendo sui media oggetto di ampia disamina, esperti e meno esperti dibattono sui suoi possibili significati reconditi.
Un altro dato, che forse potrebbe rivelarsi davvero significativo. Il giovane morto suicida aveva un tatuaggio sulla testa, la scritta “Never answer the phone”, “Mai rispondere al telefono”. “Mi fa venire in mente”, considera Grimaldi, “che per esempio, nelle loro testimonianze, le Bestie di Satana [gruppo di assassini seriali satanisti, attivo in Lombardia tra il 1997 ed il 2004, che annoverava, tra i suoi approcci operativi, anche l’induzione al suicidio, ndr] raccontavano del terrore di rispondere al telefono perché poteva essere sempre la telefonata che ti ordinava di uccidere qualcuno o di ucciderti.”
E Sasha Pinna, amico di Bertani, a sua volta morto suicida nel 2014, “prima di uccidersi riceve una telefonata da un numero rimasto misterioso su cui nessuno ha indagato.”
È dunque plausibile ipotizzare un qualche genere di legame tra alcuni giovani di Garlasco e gruppi come le Bestie di Satana? È uno scenario che probabilmente meriterebbe un accurato vaglio. Per il momento, riportiamo solo un dato di fatto, desumibile dal materiale istruttorio. L’intercettazione n. 103, ambientale, raccoglie una conversazione tra i genitori di Andrea Sempio, avvenuta nel 2017 nell’auto di famiglia. I due parlano della confidenza ricevuta da una loro parente, che avrebbe rivelato di aver visto l’avvocato che assisteva una delle vittime delle Bestie di Satana recarsi in carcere a conferire con uno dei componenti del gruppo. L’avvocato era uno dei legali attualmente impegnati nella difesa di Andrea Sempio. Certo, una correlazione indiretta, ma almeno utile per confermare, da parte del predetto legale, una profonda conoscenza della realtà socio-antropologica che potrebbe aver fatto da sfondo al delitto.
Gruppi e sette a Garlasco e dintorni
In ogni caso, tra Garlasco e Vigevano, fin dalla seconda metà dagli anni Ottanta, si sono registrati episodi che sembrano attestare la presenza di realtà settarie. Una denuncia del 1988, presentata a Milano e afferente circostanze ascrivibili a tali contesti, non ha condotto ad alcun esito ed è stata archiviata. Nello stesso anno, il commissario Giorgio Pedone, di stanza a Vigevano, ha avviato un’indagine su un serie di furti nelle chiese e nei cimiteri della zona. Ha scoperto, tra l’altro, alcuni luoghi in cui si tenevano messe nere, tra cui una chiesetta in località Cascina Dojola. Dove lo stesso verrà ucciso, con un colpo di pistola alla testa, la notte tra il 13 e il 14 agosto 1991. “Sospetto fortemente che [Pedone] potesse aver scoperto interazioni tra questi gruppi settari e la mafia calabrese in Lomellina”, ipotizza Grimaldi nell’intervista a Giallo.
Fin dal 1988, a Pavia, era inoltre attivo il “Gruppo dei 100”, dedito a sedute spiritiche tese a evocare un’entità maligna denominata “Angelo Nero”. Il santone del consesso e molti adepti provenivano da Garlasco.
Ancora: dal 1990 al 2020, tra Milano, Novara e Pavia (e qui, segnatamente, a Vigevano e Montù Beccaria), operava un gruppo di ispirazione dionisiaca, i cui riti sembrerebbero potersi ricondurre, almeno in termini sostanziali, alla dottrina degli “Illuminati di Thanateros”, setta satanica internazionale nata nel 1988 che, nel 2008, il nostro Servizio di informazioni ha indicato come dedita all’omicidio rituale.
Dunque, in località contigue a quelle in cui l’omicidio è avvenuto sembra si registrasse la presenza di organizzazioni e prassi rituali fortemente connotati in termini occultistici.
“I riti satanici e gli esorcismi a Garlasco si facevano, in paese si diceva, si sapeva”, ha dichiarato a Giallo Riccardo Bresciani, giovane rapper che opera con lo pseudonimo di Veider Bre ed era amico di Michele Bertani e Sasha Pinna. “Io sono proprio del quartiere delle Bozzole, sono cresciuto vicino al Santuario, correvo sempre nelle campagne lì intorno, conoscevo bene i luoghi in cui accadevano certe cose.”
“Un giorno”, sono ancora le parole di Bresciani, “mentre correvo tra le campagne, mi sono imbattuto nella testa di una capra. Ho pensato subito che facesse parte dei riti e dei sacrifici notturni che si facevano lì. Io non ho mai partecipato, ma alcuni amici me ne hanno parlato, dicevano di aver visto persone incappucciate nel bosco di Vigevano, vicino al Santuario.”
Tutto questo, come ipotizza o “sogna” qualcuno, può davvero avere a che fare con la morte di Chiara Poggi? Qualcuno l’ha uccisa perché aveva scoperto qualcosa di attinente a queste realtà? Non siamo ovviamente in grado di dare una risposta a questi interrogativi. Ci limitiamo, ancora una volta, a ribadire un dato di fatto, già più volte menzionato dall’inizio della nuova indagine sul delitto: in una chiavetta usb appartenuta alla vittima è stato rinvenuto materiale relativo a ricerche da lei effettuate, tra l’altro, su casi di omicidio irrisolti, pedofilia, abusi sessuali su minori.
Suicidi?
Riconsideriamo in breve i suicidi cui abbiamo fatto cenno finora. Nel 2014, si è tolto la vita Sasha Pinna; nel marzo 2016, Michele Bertani. Bertani era amico di Sempio ma anche di Pinna e di Enrico Ramaioli, altro giovane suicidatosi a Garlasco, nel gennaio 2011. Dunque, nel giro di pochi anni, in un ambito geografico assai circoscritto, si sarebbero suicidati almeno tre giovani che si conoscevano tra loro: circostanza, se ne converrà, già di per sé singolare. A ciò si aggiungano altri due presunti suicidi, avvenuti nel medesimo contesto.
Giovanni Ferri ha ottantotto anni, è un meccanico in pensione che vive a Garlasco con la moglie invalida. Conduce una vita caratterizzata da una precisa routine: ogni mattina esce di casa, si reca a prendere il caffè al bar Jolly in Largo Primo Maggio e ad acquistare il giornale in un’edicola vicino alla sua abitazione. Il 23 novembre 2010 viene rinvenuto senza vita in via Mulino, a meno di un chilometro da via Pascoli, teatro dell’omicidio di Chiara Poggi. Il suo cadavere si trova incastrato in un’intercapedine di circa cinquanta centimetri. Ha i polsi e la gola recisi. Suicidio, concludono gli investigatori. Non risulta del tutto chiaro perché, per uccidersi, Ferri si sarebbe infilato in uno spazio tanto angusto. Senza contare che, in loco, non viene ritrovato alcun oggetto con cui avrebbe potuto infliggersi i tagli ai polsi e alla gola.
Fin dal ritrovamento del corpo senza vita dell’uomo, la moglie dichiara di non condividere l’ipotesi del suicidio. E, il giorno dell’evento, non risulta che i conoscenti che Ferri incontrava quotidianamente abbiano percepito in lui segni di turbamento. Voci di popolo sostengono che l’anziano pensionato fosse a conoscenza di particolari relativi all’omicidio di Chiara, forse significativi.
Il medico di base di Giovanni Ferri e di sua moglie si chiama Corrado Cavallini, con studio a Garlasco, in via Matteotti, a pochi passi dal luogo del rinvenimento del corpo senza vita del pensionato. Vive a Vigevano e, dopo la morte di Ferri, continua ad assistere la vedova. È anche il medico di base di Andrea Sempio e dei suoi genitori. Ha una moglie e un figlio, gode di una buona reputazione professionale. Il 24 marzo 2012 viene rinvenuto senza vita nella sua abitazione di Vigevano. Gli inquirenti stabiliscono che si tratti di suicidio tramite iniezione al braccio di una sostanza letale. Manca un biglietto d’addio, non emerge una motivazione che plausibilmente possa aver dettato il gesto estremo. Tempo prima della morte, Cavallini ha confidato ad amici e colleghi di provare un senso di stanchezza “non comune”, ma non risulta che soffrisse di patologie gravi o di depressione conclamata. Né ha mai seguito terapie psichiatriche.
Anche in questo caso, la tesi del suicidio non appare pienamente convincente. Forse, è un’ipotesi avanzata da alcuni giornali, la moglie di Ferri, in cura da Cavallini, gli ha riferito quanto suo marito potrebbe essere venuto a sapere a proposito dell’omicidio di Chiara. Congetture, illazioni? Per lo meno, ipotesi non certo semplici da comprovare.
Ignoto 3
E veniamo agli sviluppi più recenti dell’indagine dal punto di vista forense. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera e da altri media, il Dna di “Ignoto 3”, presente su un tampone eseguito nel 2007 nel cavo orale di Chiara Poggi e finora mai analizzato, non sarebbe frutto di contaminazione, come pure qualcuno ha affermato. Le ultime analisi genetiche hanno individuato un profilo completo, con ventidue marcatori e una significativa quantità di materiale biologico. La traccia non è risultata compatibile con alcuno degli operatori che hanno partecipato alle attività di sopralluogo, al trasporto del corpo e all’autopsia.
Si tratta quindi di un elemento attestante la presenza, sulla scena del crimine, di un soggetto sconosciuto – comunque di sesso maschile – e la sua partecipazione all’iter criminis? Alcuni consulenti della famiglia Poggi hanno comunque ipotizzato che il Dna possa provenire da strumenti non sterilizzati o da garze contaminanti impiegate durante l’autopsia. Intervenendo a Morning News, la genetista Marina Baldi ha confermato che, in generale, “una garza non sterile può contenere residui di Dna da altri cadaveri o da chi l’ha manipolata prima.”
Secondo la Procura, la quantità rilevata e la coerenza dei marcatori renderebbero tuttavia poco plausibile che si tratti della conseguenza di un semplice errore tecnico. Per escludere del tutto quest’ultima ipotesi, i Pm hanno richiesto nuovi tamponi su oltre trenta operatori e soggetti entrati in contatto con il corpo di Chiara Poggi.
Le dichiarazioni di Andrea Sempio
Nel frattempo, nel corso della più recente puntata di Quarto grado, Andrea Sempio ha rilasciato nuove dichiarazioni. In particolare, ha ripercorso l’interrogatorio cui è stato sottoposto nel 2008. In primis, ha fatto riferimento allo scontrino del parcheggio di Vigevano, che riporta la data del giorno del delitto e che costituirebbe il suo alibi. “Per quanto riguarda lo scontrino quello non è stato portato durante una pausa del verbale”, ha riferito, contraddicendo una ricostruzione dei fatti circolata recentemente. Ed ha menzionato due interrogatori avvenuti presso i Carabinieri di Vigevano. Nel primo, gli investigatori non gli avrebbero posto domande specifiche sulla giornata dell’omicidio. “Sono tornato indietro e quello è stato il momento in cui era presente il Mattia”, ha ricordato Sempio, riferendosi all’amico Mattia Capra, sentito a sua volta dagli inquirenti.
Il predetto scontrino, a detta dell’attuale indagato, gli sarebbe stato richiesto nel corso del secondo interrogatorio. “Mi fanno ritornare a Vigevano e a quel punto mi fanno le domande sulla giornata e tocchiamo il tema dello scontrino.” Lui avrebbe dunque dichiarato di essere ancora in possesso del documento e, dalla caserma, avrebbe chiamato la madre al telefono, per averne conferma. “Lei mi dice sì che era in tal cassetto.” “Abbiamo concluso tutto il verbale, dicendo che dopo aver finito sarei andato a prenderlo.” Sempio sarebbe quindi tornato a casa, avrebbe recuperato lo scontrino e lo avrebbe consegnato i militari per la fotocopiatura e la verbalizzazione.
Nel corso dell’intervista a Quarto grado, il giovane ha fatto anche riferimento a un ulteriore aspetto controverso: il fatto che, durante la sua permanenza presso la caserma dei Carabinieri, sarebbe stato colto da un malore che avrebbe reso necessario chiamare un’ambulanza, intervento che però non risulta essere stato verbalizzato.
“Non mi ricordo di preciso se è stato quella volta o se era stata la volta precedente”, ha affermato. “Io mi ero presentato all’interrogatorio che però era già qualche giorno che avevo la febbre, quindi già non stavo benissimo.”
L’intervento dei sanitari non sarebbe stato comunque conseguenza di malore grave: “Non è che sono svenuto, loro hanno visto che ero un po’ ovattato e che andavo un po’ giù, mi perdevo un po’ e allora hanno deciso di chiamare l’ambulanza.” Ancora: “Non è che sono crollato lì per terra in mezzo alla caserma, anche perché se no se lo sarebbero ricordati, cioè se fosse successo qualcosa di grave.” Il che forse spiegherebbe appunto la mancata verbalizzazione della circostanza.
Alla medesima puntata di Quarto grado ha partecipato anche il colonnello Gennaro Cassese, ex comandante dei Carabinieri di Vigevano. “Io vorrei rivedere il verbale perché non ricordo quello che ha raccontato il signor Sempio”, ha detto, “qualche volta abbiamo chiamato un’ambulanza per un teste si è sentito male, ma visto che anche lui non si ricorda in quale circostanza è stata chiamata l’ambulanza vorrei rivedere gli atti. Io sinceramente non lo ricordo. Ma basta vedere sulle richieste al 112 all’epoca, anche se sono passati tanti anni se c’è stato un intervento dell’ambulanza c’è traccia.”
L’indagine e i salotti televisivi
“Dato il continuo attribuire alla Procura di Pavia valutazioni, ricostruzioni, attività in corso e persino stati d’animo, ritengo necessario chiarire quanto segue: i magistrati titolari delle indagini, che aggiornano costantemente il procuratore sull’accuratezza delle verifiche condotte, si esprimeranno ufficialmente solo al termine delle attività, adottando le decisioni necessarie.” È quanto scrive, in una nota, il Procuratore di Pavia, Fabio Napoleone.
“Qualsiasi interpretazione proveniente da soggetti estranei all’Ufficio, in assenza di comunicati ufficiali, genera solo confusione, dando vita a discussioni fittizie in cui consulenti, esperti e opinionisti commentano su ipotetiche scelte della Procura basate su congetture”, aggiunge. E conclude: “Perciò ogni riferimento alla Procura di Pavia, anche quelli recentemente diffusi, deve considerarsi infondato, se non supportato da comunicazioni ufficiali.”
Il riferimento ai media che ininterrottamente trattano l’argomento per evidenti ragioni di audience appare palese. Questa e altre vicende giudiziarie devono essere doverosamente analizzate e proposte al pubblico dagli operatori dell’informazione. Ma riteniamo che sarebbe opportuno valersi allo scopo del rigore, dell’accuratezza, della prudenza e della sistematicità propri del giornalismo di inchiesta, piuttosto che alimentare, sui giornali e in televisione, un continuo, martellante dibattito che, di fatto e salvo rare eccezioni, non fornisce nessun effettivo, utile apporto alla conoscenza del tema trattato ma offre solo l’occasione a esperti, veri e presunti, di guadagnare un po’ dell’agognata esposizione mediatica.