Venezia. Accusa e difesa a confronto, dinanzi alla Corte d’Assise, nell’ambito del processo a Filippo Turetta, reo confesso dell’omicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin, avvenuto l’11 novembre 2023. Due requisitorie – illustrate rispettivamente il 25 e il 26 novembre scorsi – nelle quali si sono scandagliati dinamiche e motivazioni della drammatica vicenda.
La dinamica del delitto
L’accusa, sostenuta al Pubblico ministero Andrea Petroni, ha ricostruito il complesso iter criminis, ripercorrendo le fasi dell’aggressione “ripetutamente” posta in essere dall’omicida, dal parcheggio di Vigonovo fino a quando, venti minuti dopo, la sagoma di Giulia è stata ripresa a terra, nell’area industriale di Fossó, da una telecamera di videosorveglianza. Nel parcheggio “non c’è stato il tempo di una discussione, tutto è durato sei minuti: sono state trovate diverse macchie di sangue, la lama di un coltello senza impugnatura, il sangue è sicuramente della persona offesa. C’è un’aggressione dinamica, Giulia era cosciente e chiedeva aiuto.”
La giovane è stata poi costretta a risalire in auto e, prima di giungere a Fossó, “è stata colpita più volte: sanguina copiosamente come dimostrano le tracce di sangue nell’auto”, ha considerato il Pubblico ministero. L’aggressione nell’area industriale “dura pochissimo”, il video della telecamera mostra “la persona inerme in terra, che significa che tutta una serie di lesioni, in particolare le venticinque lesioni sulle mani, l’immobilizzazione e il silenziamento (mediante utilizzo di nastro adesivo, ndr) sono avvenute prima, non hanno ragione di essere dopo.”
“Vi prego”, ha esortato il Pm Petroni, “non prendete questi dati come dati freddi, immaginate cosa è accaduto, cosa significa essere silenziati, la pressione sulla bocca, i venticinque tagli sulle mani, lo scotch sulla bocca, le urla.”
Le aggravanti e l’ergastolo
“Chiedo che l’imputato venga condannato all’ergastolo”, ha concluso Petroni. Che ha sollecitato il riconoscimento delle aggravanti della premeditazione (“Difficile trovare una premeditazione più provata di questa, un caso di scuola, il piano è stato pensato quattro giorni prima, eseguito quotidianamente”), della crudeltà (il Pm parla di “insensibilità all’altrui patimento”, di quella che la Cassazione definisce “brutalità ulteriore” nel commettere un delitto) e degli atti persecutori.
Controllo
Secondo l’accusa, l’omicidio di Cecchettin costituirebbe l’ultimo atto dello stretto, ossessivo controllo che l’ex fidanzato esercitava sulla vittima. “Il rapporto tra Giulia Cecchettin e l’imputato è stato caratterizzato da forte pressione, dal controllo sulla parte offesa, le frequentazioni, le amicizie, le uscite.” L’aggressione omicida costituirebbe, in tal senso, “l’ultimo di quegli atti”, il culmine devastante di tale dinamica comportamentale.
Condotte manipolatorie
Il Pm Petroni ha anche proposto una possibile interpretazione del profilo personologico dell’imputato. Nella sua condotta sarebbero a suo giudizio ravvisabili attitudini alla manipolazione, non solo nei confronti della vittima ma anche, successivamente al suo arresto, degli inquirenti. In particolare, nel modo in cui il giovane avrebbe tentato di giustificare la sua fuga con il corpo senza vita della giovane, sostenendo di avere girovagato in auto per trovare la forza necessaria ad uccidersi. “La prospettazione del suicidio”, questa l’interpretazione del Pm, “è fatta in modo esclusivamente ricattatorio e, per quello che riguarda la fuga in giro per l’Italia, a mio avviso lui parla della volontà di prendere tempo per trovare il coraggio di farla finita in chiave vittimistica. La verità è che è stata una fuga vera e propria.”
“Che le minacce di suicidio fossero reali o meno”, ha comunque aggiunto Petroni, “sposta poco in tema di configurabilità del reato, quello che cambia è l’azione manipolatoria nei confronti della parte offesa che viene poi proposta anche nei confronti della magistratura.” E, riferendosi alle sue dirette interazioni con il giovane imputato, sia dopo il primo interrogatorio del 1° dicembre 2023, sia in seguito a quello avvenuto recentemente in aula, “sono uscito con la spiacevole sensazione di essere stato preso in giro”, ha concluso.
“Difendere un reo confesso”
Ieri, 26 novembre, la difesa di Turetta, curata dagli avvocati Giovanni Caruso e Monica Cornaviera, ha proposto a sua volta la propria requisitoria.
“Oggi ho un compito non facile”, ha esordito Caruso, “difendere un imputato reo confesso di un omicidio efferato, gravissimo, e di altri reati. Assisto un giovane ragazzo che ha ucciso una ragazza meravigliosa privandola della vita, dei ricordi, dei sogni, delle speranze, dei progetti e di tutti i legami che la univano alle persone che l’amavano e avevano riposto in lei aspettative di un futuro radioso.” Ed ha aggiunto: “Dovete emettere una sentenza giusta ma secondo il principio della legalità, come impone la civiltà del diritto, e non con la legge del taglione.”
Sulla richiesta dell’ergastolo e sulle aggravanti
“L’ergastolo è da molto tempo ritenuto una pena inumana e degradante, le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. L’ergastolo è il tributo che lo stato di diritto paga alla pena vendicativa”, ha considerato il difensore. Ed ha chiesto, per il suo assistito, la concessione delle attenuanti generiche, affermando di non ritenere fondata la contestazione, da parte dell’accusa, delle aggravanti della premeditazione, della crudeltà e degli atti persecutori. In subordine, in caso di riconoscimento delle aggravanti, ha richiesto altresì che ”la corte operi un giudizio di comparazione”, ritenendole equivalenti alle attenuanti.
Crudeltà ed emotività
“Un omicidio efferato, ma non c’è l’aggravante della crudeltà“: è questa l’interpretazione della difesa. “Un omicidio commesso con tanti colpi di pugnale non necessariamente è crudele nel senso previsto dalla legge”, ha considerato Caruso. “Turetta colpisce alla cieca, chi non è un killer professionista è difficile che prenda al primo colpo la giugulare. Anzi, chi non ha mai usato un’arma bianca comincia con colpi di ‘assaggio’, di taglio e di punta.”
L’avvocato Caruso ha ribadito quindi che l’imputato si trovava, al momento del delitto, in preda all’emotività, nell’alterazione di una situazione emotiva in cui ha agito con concitazione.”
Insicurezza e premeditazione
Secondo la difesa, quindi “la premeditazione non c’è sul piano ideologico, nel senso che in Turetta non si osserva la persistenza di una costante volontà di uccidere. Perché ci sia, occorre il mantenimento fermo del proposito criminoso dal momento della sua insorgenza alla sua realizzazione”.
E, a detta dell’avvocato Caruso, l’imputato non avrebbe avuto la capacità di fissarsi su un obiettivo, su un qualsiasi obiettivo: “Non è Pablo Escobar. Chiunque è in grado di percepire che se c’è una personificazione dell’insicurezza e della mancanza di personalità, è Filippo.”
”Non me ne voglia Filippo”, ha aggiunto, “ma, a meno che non sia il più consumato degli attori, è insicuro: è insicuro di fare gli esami, non sa se riprendere a giocare a pallavolo, non sa se Giulia è ancora innamorata di lui.”
Nella sua requisitoria, l’accusa ha affermato che questo costituirebbe “un caso di scuola della premeditazione, dissento: non è proprio un caso di scuola. Se c’è uno che non sa premeditare alcunché è Filippo Turetta”, ha affermato il difensore, per il quale “la preordinazione non è sufficiente per la premeditazione.” La lista con le cose da acquistare e le azioni da compiere, compilata dall’imputato il 7 novembre 2023, prima dell’omicidio, secondo la difesa si riferirebbe al proposito di rapire Giulia, per tentare di indurla a ritornare sul suo proposito di porre fine alla loro relazione, come dimostrerebbero alcuni brani, riletti in aula, dei verbali di interrogatorio e del memoriale, in cui l’imputato afferma che il suo intento fosse appunto quello di sequestrare la giovane. “Nel caso di Turetta c’è un’intermittenza insanabile che non radica il proposito criminoso.”
Possessività e incapacità di gestire le emozioni
“Sono certo che la possessività dipenda dall’incapacità della relazione affettiva”, ha affermato ancora Caruso. “Si parla molto di educazione affettiva, Turetta non sa cosa sia, lui ha una concezione narcisistica dell’amore, se l’altro mi taglia via, gli effetti sono disperanti.”
“Ha provato quello che tutti provano dalla notte dei tempi la sofferenza delle relazioni e l’ha vissuta in maniera quasi patologica: è un ragazzino non all’altezza di gestire le proprie emozioni.”
Atti persecutori?
L’avvocato ha quindi ripercorso l’evoluzione del rapporto tra la vittima e l’imputato e la sua conclusione. Giulia, ”intelligente e solare, con un enorme spessore umano”, si è accorta, che quel ”ragazzo timido, insicuro che marca il territorio, non ha le caratteristiche che lei desidera” e lo lascia.
Per poter affermare il ricorso della fattispecie degli atti persecutori, ha spiegato il difensore, “la legge richiede la reiterazione delle condotte ed è indubbio che quelle di Turetta fossero ossessive, quasi da spettro autistico, come si evince dalle sue annotazioni, petulanti e insopportabili, ma occorre anche che nella vittima si ingenerino stati perduranti d’ansia e di paura che in questo caso non vedo.” Giulia infatti, “non aveva paura di lui, tanto è vero che è andata all’ultimo appuntamento.”
“Lei non ha cambiato stile di vita”, ha rimarcato il difensore, “ha fatto gli esami, stava per laurearsi, andava con lui ai concerti e uno di questi era in programma anche in una data successiva all’omicidio.”
“Giulia va dallo psicologo”, ha aggiunto, “ma non risulta che gli dica di avere paura di Filippo, va per altre ragioni. Quando lei dice ‘Filippo mi fai paura’, intende che ha paura che lui si faccia del male.”
Questi alcuni aspetti delle problematiche trattate in sede di confronto tra accusa e difesa. La sentenza è attesa per il 3 dicembre, data della prossima udienza.