Firenze. Ancora dubbi sull’ultimo duplice omicidio dell’elusivo serial killer che, tra gli anni Settanta e Ottanta, nelle campagne toscane, uccideva giovani coppie appartate in intimità e praticava sulle vittime femminili atroci mutilazioni.
Le sue ultime vittime risalgono all’inizio del settembre 1985. Sono due ragazzi francesi, Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, accampati per la notte in località Scopeti, in una tenda candese.
Si dibatte su quando il duplice omicidio sia stato effettivamente commesso perché, dalla sua collocazione temporale, derivano conseguenze decisive ai fini dell’attribuibilità dei delitti. Secondo la ricostruzione recepita nelle sentenze che hanno definito il caso e sposato la tesi della responsabilità dei cosiddetti compagni di merende (Pietro Pacciani, Mario Vanni e Giancarlo Lotti) i due turisti francesi sarebbero stati uccisi la notte di domenica 8 settembre 1985. A sostegno di ciò, la testimonianza dello stesso Lotti, sedicente complice pentito, le cui dichiarazioni, in assenza di riscontri forensi, sono state appunto poste a fondamento delle condanne.[1]
È però opportuno considerare che, a quanto emerso da alcuni studi dedicati alla vicenda e ai suoi sviluppi processuali, tali dichiarazioni rivelano numerose incongruenze e contraddizioni e mal si conciliano con i dati oggettivi relativi ai delitti acquisiti nel corso delle indagini.
Un esperimento entomologico-forense
Insomma, per più di uno studioso del caso, il teste Lotti, reo confesso di aver partecipato ad alcuni dei delitti del cosiddetto Mostro, non sembrerebbe meritevole di particolare fiducia. E un esperimento giudiziale effettuato in questi giorni presso la scena del crimine del 1985, parrebbe idoneo a invalidare le sue dichiarazioni in modo definitivo e irreversibile, aprendo la strada alla revisione della condanna all’ergastolo di Mario Vanni, sollecitata da un nipote dell’uomo, ormai deceduto. Si tratta di un esperimento condotto da due entomologi forensi di chiara fama, Fabiola Giusti e Stefano Vanin i cui esiti potrebbero consentire di collocare il duplice omicidio la sera di sabato 7 settembre o addirittura di venerdì 6.
Nei giorni scorsi, i due esperti hanno collocato nella radura di Scopeti una tenda canadese assai simile a quella utilizzata dalle vittime. Al suo interno hanno posto della carne che, con il passare del tempo, ha iniziato naturalmente a putrefarsi e ad essere “colonizzata” dagli insetti, che vi hanno deposto le loro uova. I tempi di sviluppo della fauna cadaverica risulterebbero del tutto sovrapponibili a quelli che, a giudicare dalle foto dell’autopsia, si erano registrati sui cadaveri delle vittime. Simili valutazioni, appunto i tempi di sviluppo degli insetti sui resti mortali, possono contribuire in modo decisivo, insieme a quelli di insorgenza dei fenomeni trasformativi del cadavere, alla diagnosi di epoca della morte.
“I risultati sono incoraggianti nello smentire in maniera categorica le dichiarazioni del teste oculare”, spiega Fabiola Giusti al quotidiano La Nazione. “La nostra disciplina ha ricreato, nello stesso luogo e nei medesimi giorni del mese, l’ambiente in cui, nel primo pomeriggio di lunedì 9 settembre, il cercatore di funghi Luca Santucci s’imbatté per caso nei due cadaveri. Nadine era nella tenda, Jean Michel tra i rovi, coperto da alcuni rifiuti. Il corpo della donna aveva già raggiunto una decomposizione tale che, a tanti, già allora, faceva dubitare che quel delitto potesse essere avvenuto prima della domenica sera. Oggi, alle convinzioni di allora, arrivano a supporto le convinzioni della scienza.”
Un significativo precedente
La possibilità di collocare il delitto degli Scopeti uno o due giorni prima rispetto alla data recepita nelle sentenze in realtà si è già profilata anni fa. Precisamente ne dà conto un reportage che il documentarista Paolo Cochi ha dedicato al Mostro nel 2016, nel quale due entomologi forensi (Simonetta Lambiase e Stefano Vanin) e tre medici legali (Giovanni Marello, Carlo Pietro Campobasso e Giuseppe Osculati) propongono contributi nei quali considerano la necessità di retrodatare il delitto in questione. Al loro parere, nel menzionato reportage, si aggiunge quello del commissario Sandro Federico, comandante della Squadra Anti Mostro.
Diciassette foto e una tenda da campeggio
Ora, sulla scorta della nuova relazione tecnica affidata a Giusti e Vanin, gli avvocati Valter Biscotti e Antonio Mazzeo si accingono a depositare la citata richiesta di revisione del processo conclusosi con la condanna di Mario Vanni.
Oltre alla consulenza entomologico-forense, l’istanza potrebbe essere corredata di ulteriori elementi idonei a confutare la testimonianza del compagno di merende “pentito”. Questi aveva parlato di un taglio sulla tenda dei francesi, asseritamente provocato da un coltello a ridosso dell’aggressione. Gli avvocati hanno richiesto alla Procura di sottoporre la tenda all’esame di esperti in tessuti, perché sospettano che si tratti invece di uno strappo, forse antecedente al duplice omicidio.
Nei mesi scorsi avevano chiesto la restituzione, tra gli altri oggetti personali dei francesi, degli scatti fotografici da loro effettuati prima del delitto, nell’eventualità in cui essi potessero mostrare la tenda e consentire di valutare le sue condizioni. Le foto non risultavano presenti tra i reperti presi in esame.
Secondo quanto appurato da Vieri Adriani, altro avvocato attualmente impegnato nel tentativo di far riaprire il caso, all’epoca del duplice omicidio, il rullino contenuto nella macchina fotografica Nikon di Nadine e Jean-Michel, era stato acquisito dai Carabinieri e consegnato a un fotografo di San Casciano che ne avrebbe sviluppato il contenuto ricavandone delle diapositive e consegnando il tutto agli investigatori.
[1] Ergastolo a Vanni e ventisei anni di reclusione a Lotti, peraltro solo per gli ultimi quattro duplici omicidi del Mostro. Prima del delinearsi dello scenario dei compagni di merende, Pietro Pacciani era stato condannato nel 1994 come unico autore dei delitti. Assolto in appello nel 1996, è deceduto due anni dopo, nelle more del giudizio di rinvio in seguito all’annullamento in Cassazione (per una problematica procedurale) della sentenza di assoluzione.