Sulmona “A margine dell’incontro che l’Assessorato all’Urbanistica del Comune di Sulmona ha promosso con gli architetti, gli ingegneri ed i geometri per dibattere sulle ragioni della modifica della delibera di recepimento della L.R. n.49, a seguito del confronto rivelatosi aspro ed improduttivo, crediamo sia opportuno formulare alcune precisazioni: le modifiche che si intendono introdurre attengono ad alcuni aspetti che la nuova Legge Regionale Urbanistica affronta anticipandone l’applicazione. Queste riguardano i trasferimenti di volumi edilizi attuati attraverso il meccanismo della demolizione del manufatto sorgente e la successiva edificazione con premialità volumetrica da realizzare in altra area, anche se classificata non edificabile dagli strumenti vigenti. Le modifiche sono nell’ordine: la necessità di garantire la effettiva demolizione degli immobili di origine, la successiva edificazione in una fascia prossima alle infrastrutture esistenti e l’obbligo di realizzare le opere di urbanizzazione secondaria (parcheggi, verde pubblico, ecc.). Le ragioni di tali modifiche risiedono nella volontà di frenare la dispersione edilizia e garantire ai nuovi insediamenti quei livelli minimi di confort urbano che la legge impone e che oggi, grazie al meccanismo della monetizzazione, vengono troppo spesso elusi. Nulla di più. Opporsi a tali modifiche invocando l’assenza di un tale obbligo in provvedimenti che sono evidentemente legati a processi di incentivazione economica del settore edile, corrisponde a negare, oltre stringenti obblighi di legge, anche le più elementari norme di costruzione di una città ordinata”. Lo dichiara l’Assessore all’Urbanistica, Sergio Berardi.
“Innanzitutto una considerazione: la città è un organismo complesso condizionato, nella sua forma, dai meccanismi dei suoi bisogni e dalla esigenza del cambiamento che il tempo storico propone. Si tratta di processi che impongono una mediazione interpretata dalla cultura, architettonica in particolare, e dalla politica. Una condizione che riconosca nei cives la necessità di una consapevolezza nei confronti dei problemi della propria città e dei possibili cambiamenti che possano condurre ad una trasformazione progressiva. È questa specifica consapevolezza che, a partire dalla pubblicazione de La situazione della classe operaia in Inghilterra di Friedrich Engels, ha condotto alla formulazione della necessità delle cosiddette opere di urbanizzazione: di quelle particolari dotazioni che rendono civile l’abitare. La città è un inestricabile complesso di funzioni e di memoria, di forme tramandate dalla storia e di incontenibile necessità di trasformazione. Essa”, spiega Berardi, “è la rappresentazione autentica della nostra civiltà in quanto nella città si rappresenta fisicamente la sintesi tra i portati della cultura greca e la tradizione della civiltà romana. Ma la città è anche il luogo in cui si dispiegano i processi ed i conflitti delle attività economiche dell’uomo, a partire dalla sua stessa costruzione materiale. Ed è in questo che la politica, nel suo significato originario, rivela le sue possibilità. Nella formulazione del corpus normativo, ma anche nel disegno delle forme urbane”.
“Una prerogativa ad essa riservata che, anche quando eccezionalmente è demanda, resta intatta nel suo potere statutario. Controllo della forma e responsabilità sulle dotazioni sono obblighi depositati in capo al governo della città: essi sono indifferibili e incomprimibili. Lo sono in quanto la responsabilità dei cives è riassunta nella civitas che l’Amministrazione comunale interpreta e governa e si formalizza nell’urbis in tutte le sue configurazioni. Tale necessità è espressa nel corpo normativo, via via sempre più complesso, che comprende le norme che regolano le trasformazioni. Tra queste, quelle che riconoscono, nella formazione della città, l’attività produttiva di un settore economico: l’edilizia appunto, considerata come tale con le conseguenti necessità di sostegno nelle sue forme anticongiunturali. Ma il settore edile produce architetture e forme urbane le cui espressioni richiamano quella responsabilità che la civitas deve assumere nei confronti della propria città. Una responsabilità che investe in primo luogo gli architetti, troppo spesso piegati agli interessi della speculazione fondiaria ed intolleranti dell’autonomia del governo. Gli architetti che eludono il ruolo che la scuola gli ha conferito, divengono meri esecutori tecnici di scatole funzionali incapaci di costruire luoghi che tuttavia trasformano l’ambiente, spesso anche privi di quelle attrezzature che la legge, oltre che il comune sentire, considera indispensabili per la qualificazione del vivere civile. La politica che elude la responsabilità nei confronti delle trasformazioni della città usurpa la propria denominazione e diventa puro esercizio di potere”, conclude l’Assessore Berardi.