Roma. Quattro colpi di pistola, uno in bocca e tre alla schiena. Così viene ucciso, il 20 marzo 1979, il giornalista Mino Pecorelli. Sono le 20,45. La scena: via Orazio, nel quartiere Prati, a Roma. Pecorelli è appena uscito dalla redazione del suo settimanale, Osservatore Politico (OP), sita in via Tacito n. 90, a pochi metri di distanza, insieme alla segretaria e compagna Franca Mangiavacca e al caporedattore Paolo Patrizi. La donna si è fermata poco prima a prendere la sua auto e riferirà ai magistrati di aver intravisto, a fianco della Citroën 2000 CX del giornalista, messa di traverso sulla strada, la sagoma di un uomo in impermeabile bianco. Il corpo senza vita di Pecorelli è riverso nella sua vettura.
Avvocato e giornalista
Mino Pecorelli, all’anagrafe Carmine Pecorelli, nasce a Sessano del Molise il 14 giugno 1928. Nel 1944, durante la seconda guerra mondiale, si arruola nel Corpo polacco in quel periodo attivo nella sua zona. Combatte nella battaglia di Montecassino, a Pesaro, Urbino e Ancona. Riceve dal generale Władysław Anders la Croce al merito con le spade di bronzo, per aver partecipato alla cattura di un gruppo di soldati tedeschi.
Alla fine della guerra, si diploma a Roma e si laurea in giurisprudenza a Palermo. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta esercita la professione forense, specializzandosi in diritto fallimentare. Diviene assistente di Egidio Carenini, vice segretario amministrativo della Democrazia Cristiana. In seguito, viene nominato capo ufficio stampa del ministro democristiano Fiorentino Sullo. Si avvicina così al giornalismo, cui ben presto decide di dedicarsi a tempo pieno. È la primavera del 1967. Inizia a collaborare con Nuovo Mondo d’Oggi, settimanale che si interessa di “politica, attualità e cronaca”. Ricerca scoop negli ambienti politici. Pecorelli diviene socio dell’editore, Leone Cancrini. Un trampolino di lancio, per lui. Stringe amicizie utili. L’ultimo previsto scoop della rivista non viene pubblicato per intervento dell’Ufficio affari riservati del Ministero dell’Interno. Nuovo Mondo d’Oggi chiude il 2 ottobre 1968.
Osservatore Politico
Pecorelli fonda una propria agenzia di stampa, il 22 ottobre 1968 registra presso il Tribunale di Roma la testata Osservatore Politico, con sede in via Tacito. Le inchieste di OP – in seguito riconvertitasi in un settimanale distribuito in edicola – svelavano retroscena scottanti del mondo del potere, accusando direttamente, con nomi, cognomi e riferimenti a documentazione riservata, i principali protagonisti della politica e dell’economia.
Tra le più significative, le inchieste sull’Italpetroli, sullo scandalo Lockheed, sulla massoneria in Vaticano, sul caso Moro, sull’Italcasse che, secondo la rivista, aveva finanziato la corrente, politica e imprenditoriale, di Giulio Andreotti.
“Paese delle stragi nelle banche e nelle stazioni, delle tangenti sul petrolio e sulle armi, delle testate giornalistiche ‘comprate e vendute’, di Toni Negri e Julius Evola, dei ‘servizi deviati e paralleli’, delle bande armate rosse e nere (per lo più manovrate da centrali spionistiche dell’est e dell’ovest, ma più dell’est che dell’ovest) che seminavano morti simbolici a ogni angolo di strada: era questa l’Italia à la Eric Ambler di Mino Pecorelli.”[1]
Il processo
Lungo e tormentato il processo per individuare i responsabili del suo omicidio. Secondo la tesi accusatoria, il delitto sarebbe stato deciso proprio da Andreotti “il quale, attraverso l’onorevole Claudio Vitalone, avrebbe chiesto ai cugini Ignazio e Antonino Salvo[2] l’eliminazione di Pecorelli. I Salvo avrebbero attivato Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti[3], i quali, attraverso la mediazione di Pippo Calò[4], avrebbero incaricato Danilo Abbruciati[5] e Franco Giuseppucci[6] di organizzare il delitto, che sarebbe stato eseguito da Massimo Carminati[7] e dal mafioso Michelangelo La Barbera.”[8]
Il 24 settembre 1999 tutti gli imputati vengono assolti “per non avere commesso il fatto.”[9] Il 17 novembre 2002, la Corte d’Assise d’Appello di Perugia condanna Andreotti e Badalamenti a ventiquattro anni di reclusione come mandanti dell’omicidio, confermando l’assoluzione per i presunti esecutori materiali del delitto.[10] Il 30 ottobre 2003 la Cassazione annulla senza rinvio la condanna in appello.[11]
Riaperta l’indagine
Nel 2019, la giornalista di inchiesta Raffaella Fanelli recupera il verbale dell’interrogatorio del neofascista Vincenzo Vinciguerra, nel quale questi dichiara che la pistola con cui è stato ucciso Pecorelli sarebbe in possesso dell’ex avanguardista Domenico Magnetta. Elemento che consente la riapertura delle indagini.[12]
A dicembre 2019 emerge però che l’arma sarebbe stata distrutta sei anni prima, come riportato in un verbale recuperato a Milano.[13] Secondo Fanelli non esisterebbe un verbale attestante la distruzione della pistola.[14]
Nel marzo 2023, la stessa giornalista, ospite della trasmissione Atlantide, riferisce di aver recentemente appreso dal generale dei Carabinieri Antonio Cornacchia che, quarantotto ore dopo l’omicidio Pecorelli, il suo informatore Antonio Chichiarelli, conosciuto come il falsario della Banda della Magliana, avrebbe fatto una telefonata anonima al procuratore capo della Repubblica di Roma, Giovanni De Matteo, impegnato nell’inchiesta sul caso insieme a Domenico Sica, indicando in Licio Gelli, “maestro venerabile” della P2, il mandante del delitto e collegando la morte del giornalista a quella di Vittorio Occorsio, magistrato che, prima di essere ucciso, stava appunto indagando sulla loggia.
Fanelli racconta inoltre che, pochi giorni prima dell’omicidio, Pecorelli aveva incontrato proprio Gelli e il funzionario Federico Umberto D’Amato, probabilmente perché impegnato a scrivere un articolo su di loro.
Nel corso della medesima puntata di Atlantide, il conduttore Andrea Purgatori riporta la notizia che la famiglia Pecorelli ha chiesto approfondire l’ipotesi secondo cui, prima di essere attinto dalle pallottole mortali, il giornalista possa essere stato percosso: l’esame del cadavere avrebbe rivelato la frattura del naso e di quattro costole. Ulteriore elemento potenzialmente utile a livello investigativo emerso da poco: in prossimità della scena del crimine sarebbe stata repertata una cravatta non appartenente alla vittima.[15]
Il dossier non pubblicato
A luglio 2023 si riparla del caso. “Se Mino Pecorelli avesse avuto il tempo di pubblicare il dossier su Avanguardia Nazionale non sarebbe stato ucciso. Non ci sarebbe stato il movente a quel punto. Ma non ha avuto il tempo di pubblicare”, dichiara Fanelli. Intervistata dall’Ansa, aggiunge: “Spero che il Pm Erminio Amelio, che ha in mano le indagini sull’omicidio, abbia il coraggio di chiedere un rinvio a giudizio visto che ci sono tutti gli estremi, tutte le possibilità per farlo. Le indagini sono in corso, spero che ci sia questo processo perché Mino Pecorelli lo merita.”
“Il mandante non è Giulio Andreotti”, aggiunge, “ma un’altra persona, così come i killer. Sono stati individuati dalle indagini fatte dai legali della famiglia Pecorelli e dall’avvocato Giulio Vasaturo che rappresenta la Federazione della Stampa italiana che si è costituita parte offesa.”
Ancora: “Il movente è in quell’archivio dove c’è tutto il materiale sequestrato in via Tacito e c’è un dossier che Pecorelli aveva raccolto sull’attività eversiva di Avanguardia Nazionale e il movente va cercato in quelle pagine, in quelle carte, in quel dossier che Mino Pecorelli non ha avuto il tempo di pubblicare. E un giornalista viene ucciso per quello che non ha pubblicato, non per quello che ha pubblicato. Sicuramente avrebbe denunciato il coinvolgimento di Avanguardia nazionale nelle stragi, anche nel golpe Borghese, anche nella strage di Bologna. La pistola usata per uccidere il giornalista era custodita nell’arsenale di Avanguardia Nazionale e quindi c’è un loro coinvolgimento altrimenti la pistola non sarebbe stata lì. Pecorelli incontrava le persone che sarebbero state travolte dai suoi scoop. E aveva fatto un grave errore. Aveva incontrato Federico Umberto D’Amato tre giorni prima di essere ucciso e aveva fissato un appuntamento con Licio Gelli. Quindi, il movente dell’omicidio riguarda queste due persone che oggi vengono indicate come i mandanti della strage di Bologna.”
Attendiamo gli sviluppi dell’indagine sull’omicidio Pecorelli, un “mistero d’Italia” che dura da quarantacinque anni.
[1] D. Gabutti, “Gli articoli di Mino Pecorelli. Quando l’Italia era in prima linea nella guerra fredda”, Italia Oggi, 27 giugno 2020.
[2] Imprenditori legati a Cosa Nostra.
[3] Legati a Cosa Nostra.
[4] Noto come il “cassiere di Cosa Nostra”.
[5] Uno dei boss della Banda della Magliana, soprannominato “er Camaleonte”.
[6] Uno dei fondatori della Banda della Magliana, di cui è stato il primo boss, conosciuto come “er Negro” o “er Fornaretto”.
[7] Noto come “il Cecato”, vicino ai Nuclei Armati Rivoluzionari (Nar) e alla Banda della Magliana.
[8] Raffaella Fanelli, La verità del Freddo, Chiarelettere, Milano, 2018, pp. 199-214.
[9] “Ma mio fratello ha avuto giustizia”, la Repubblica, 25 settembre 1999.
[10] “Omicidio Pecorelli: Andreotti condannato”, la Repubblica, 17 novembre 2002.
[11] “La Cassazione assolve Andreotti”, la Repubblica, 31 ottobre 2003.
[12] “La pistola distrutta e le prove manomesse”, ilfattoquotidiano.it, 30 marzo 2022.
[13] “Omicidio Pecorelli, distrutta arma al centro della nuova inchiesta”, adnkronos.com, 5 dicembre 2019.
[14] https://open.spotify.com/episode/4Ldq83XBOV7f3WkH708vpb?si=lYR3wEHeQeO16Qk7bL5zeQ
[15] https://www.youtube.com/watch?v=F2XIpJ8s09Q; “Le costole rotte e la cravatta dimenticata: chi (e come) ha ucciso Pecorelli?”, Il Giornale, 21 marzo 2023.