Trieste. La vicenda è nota. Ha avuto fin dall’inizio notevole risalto mediatico. Liliana Resinovich, 63 anni, è scomparsa il 14 dicembre 2021 ed è stata rinvenuta senza vita il 5 gennaio 2022 nel boschetto dell’ex ospedale psichiatrico di Trieste. Il suo cadavere era avvolto in due sacchi neri di plastica, la testa infilata in sacchetti tenuti da un cordino. Suicidio, ha concluso, dopo le prime indagini, la Procura, chiedendo l’archiviazione del procedimento. Sergio Resinovich e Sebastiano Visintin, rispettivamente fratello e marito della vittima, si sono opposti all’archiviazione e il Gip ha disposto una prosecuzione dell’indagine, per verificare l’eventuale fondatezza dell’ipotesi dell’omicidio e del sequestro di persona.
L’esame del cadavere
A metà febbraio si è proceduto, presso il cimitero di Sant’Anna di Trieste, alla riesumazione del cadavere, trasferito poi a Milano. Il nuovo esame dei resti mortali è stato effettuato dall’antropologa forense Cristina Cattaneo, cui la Procura ha affidato l’incarico di redigere perizia medico-legale e si è svolto in presenza dei consulenti tecnici del fratello, della nipote, della cugina e del marito di Liliana. “Le prime verifiche sono state svolte in modo molto minuzioso”, ha dichiarato al Gazzettino l’avvocata Federica Obizzi, che assiste la nipote di Liliana, Veronica Resinovich. “Sono stati fatti dei rilievi e ci saranno ulteriori esami. Gli esiti dovranno essere consegnati entro novanta giorni”, ha ricordato Obizzi.
Una nuova testimonianza
In attesa degli esiti di questo e degli ulteriori esami previsti, emergono nuovi dettagli sulla vicenda. In particolare, la testimonianza della titolare di una struttura ricettiva dove Liliana e il marito Sebastiano avevano alloggiato in più di una circostanza. A quanto emerso in una puntata di Chi l’ha visto?, la donna ha riferito che Visintin, nel corso di una conversazione telefonica successiva alla scomparsa della moglie, le avrebbe detto che “si era trattato di un incidente”. Per poi spiegare di essere confuso e di non sapere quello che stava dicendo. La stessa testimone sostiene che avrebbe visto la coppia litigare e che, in una circostanza, nel 2021, Sebastiano sarebbe apparso “molto arrabbiato, urlava, faceva veramente paura.” Sempre nel racconto dell’albergatrice, in seguito, Liliana l’avrebbe presa da parte, chiedendo di assegnare a lei e al marito, da quel momento in poi, camere con letti separati, perché “non lo sopportava più”. Si tratta, a quanto riportato da TriestePrima, di una testimonianza raccolta dei legali della famiglia Resinovich e depositata in Procura.
Gli avvistamenti di Liliana
Un ulteriore sviluppo potrebbe rivelarsi utile per ricostruire il tragitto effettuato da Liliana il giorno della scomparsa. La donna è stata inquadrata due o, forse, tre volte da telecamere di sicurezza. La prima volta, nell’atto di gettare la raccolta differenziata a poca distanza da casa, la seconda di fronte alla scuola di polizia di Trieste e, la terza, in piazzale Gioberti. La terza ripresa potrebbe invero non ritrarre lei: la persona che vi appare sembrerebbe non indossare i medesimi abiti visibili nelle altre riprese e recuperati in sede di rinvenimento del corpo. Nessuna delle persone vicine a Liliana parrebbe inoltre riconoscerla nelle immagini.
Sergio Resinovich, fratello della donna, ha ricevuto un plico anonimo contenente foto delle telecamere della scuola di polizia che, a quanto si legge sul Giornale, sembrerebbero scattate proprio all’interno della guardiola della struttura. Sugli schermi, c’è un post-it con scritto: “7 minuti di ritardo”. Giornali e televisioni hanno sempre ribadito che il ritardo di quelle telecamere sarebbe di 5 minuti. Il nuovo dato potrebbe incidere in modo significativo sulla ricostruzione degli eventi, alimentando i dubbi sul fatto che la donna inquadrata dalla telecamera di piazzale Gioberti fosse effettivamente Liliana Resinovich.