Roma. L’agonia di Serena Mollicone è stata lunga, si è protratta per quasi dieci ore e, al termine, l’asfissia per l’imbavagliamento. Forse la sua morte poteva essere evitata. Lo ha ribadito in aula, due giorni fa, dinanzi ai giudici della Corte d’Assise di Appello di Roma, Cristina Cattaneo, anatomopatologa e ordinaria di Medicina Legale all’Università degli Studi di Milano. È stata sentita come consulente della Procura nell’ambito del processo di secondo grado per l’omicidio della giovane di Arce, in provincia di Frosinone, risalente al giugno 2001.
In primo grado, nel luglio 2022, la Corte d’Assise di Cassino aveva assolto i cinque imputati: il maresciallo dei carabinieri Franco Mottola, la moglie Annamaria e il figlio Marco, accusati di omicidio; il luogotenente Vincenzo Quatrale, a cui era contestato il concorso in omicidio e l’appuntato Francesco Suprano, accusato di favoreggiamento.
Nella precedente udienza, la Procura Generale aveva sollecitato l’ammissione di quarantaquattro testimoni e la Corte d’Assise d’Appello aveva deciso di procedere preliminarmente all’ascolto dei consulenti.
Mottola e il figlio erano presenti in aula. L’udienza si è aperta con la proiezione del video del sopralluogo effettuato il 3 luglio 2001 nel boschetto di Fontecupa, nel territorio di Fontana Liri, culminato con il drammatico rinvenimento del cadavere. Le immagini hanno mostrato il corpo della ragazza disteso e parzialmente nascosto da piante e rifiuti, i piedi legati con il fil di ferro e la testa avvolta in una busta. Poco distante, i libri che aveva con sé quel giorno.
Secondo la professoressa Cattaneo, Serena è deceduta “tra le 13,30 e le 20 del primo giugno di 22 anni fa. Ha avuto un trauma cranico senza sanguinamento. Un colpo moderato al cranio ed è morta lentamente per asfissia.”
La consulente ha aggiunto che la forma del cranio della giovane risulterebbe “compatibile con il buco trovato nella porta della foresteria della caserma dei carabinieri di Arce. La testa ha impattato contro quella porta con l’arcata zigomatica. La testa è molto più coerente con la lesione” sulla porta “che i pugni, per noi è molto più probabile.”
Secondo la difesa, il predetto buco nella porta sarebbe invece la conseguenza di un pugno sferrato da Franco Mottola in altre circostanze. In precedenza, riporta l’Ansa, sono stati realizzati calchi in gesso dei pugni di Franco e del figlio Marco, ma quello di quest’ultimo non risulterebbe più presente tra i reperti.
“Oggi la professoressa Cattaneo ha detto di aver trovato in cancelleria solo uno di questi calchi”, ha dichiarato alla fine dell’udienza l’avvocato Mauro Marsella, uno dei difensori della famiglia Mottola. “Non è un dato di secondo ordine secondo noi perché priva la difesa della possibilità di dimostrare che vi sia compatibilità comunque con entrambi i pugni.”
Tra i testimoni di cui l’accusa ha chiesto la convocazione in aula, anche Bernardo Belli, padre del carrozziere Carmine in precedenza imputato dell’omicidio di Serena e assolto in via definitiva: dovrà confermare o smentire di aver appreso dal figlio che, la mattina del primo giugno 2001, nei pressi di un bar, Serena e Marco Mottola avevano litigato.
Altro teste da escutere secondo l’accusa, il barbiere di quest’ultimo, per accertare se, dopo il delitto, Marco abbia cambiato il taglio dei capelli. Tra gli elementi emersi vi sarebbe infatti un messaggio audio che, a processo ancora in corso a Cassino, il barbiere avrebbe inviato alla cugina di Serena, contenente la descrizione del taglio e del colore dei capelli di Marco sino al giorno del delitto. Secondo la ricostruzione ipotizzata alla Procura generale, il figlio dell’ex comandante si sarebbe recato dal barbiere prima del funerale di Serena, per modificare la foggia dei capelli e allontanare in tal modo eventuali sospetti sul suo coinvolgimento nella vicenda. Il Pm di Cassino Beatrice Siravo aveva richiesto di ascoltare il barbiere in primo grado ma, allora, la Corte di Assise aveva ritenuto non utile l’escussione.
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