Firenze. “Siamo stati calpestati dalla giustizia italiana. Le famiglie non sono mai state ascoltate.” È quanto dichiarato dai parenti di Nadine Mauriot e del compagno Jean Michel Kraveichvili, uccisi dal Mostro di Firenze tra il 7 e l’8 settembre 1985, in località Scopeti. Lo riporta La Nazione.
Nei giorni scorsi si è tenuta, presso la sede del quotidiano fiorentino, una conferenza stampa cui hanno partecipato, tra gli altri, Anne Lanciotti, una delle figlie della Mauriot, Salvatore Maugeri, amico di Kraveichvili e l’avvocato Vieri Adriani, che assiste i familiari delle due vittime.
Il decorso giudiziario del caso del Mostro è a un bivio, considerano gli organi di stampa. Il Gup, Anna Liguori, è chiamata a decidere sull’opposizione all’archiviazione, proposta dall’avvocato Adriani, sull’ultimo stralcio di indagine, relativo all’ipotizzata manomissione della cartuccia acquisita nel corso della perquisizione nell’orto di Pietro Pacciani il 29 aprile 1992 (e che, già all’epoca dell’assoluzione di questi, la Corte di Assise di Appello aveva considerato con molte riserve, per le insolite circostanze del suo rinvenimento).
L’avvocato Adriani esprime l’auspicio che la magistratura “faccia quelle verifiche che finora non sono state fatte, che si indaghi fino in fondo, che non si lasci intenta ogni pista e ogni traccia portata alla luce.”
Depistaggi
Anne Lanciotti e Salvatore Maugeri ritengono che la vicenda, così come recepita in sede giudiziaria, sia stata oggetto di depistaggi. Ipotizzano che i cosiddetti compagni di merende potrebbero essere stati dei comprimari nel caso, delle figure secondarie. Lanciotti; “Sono turbata dall’uso del termine ‘mostro’. La parola mostro richiama la mitologia, esseri soprannaturali e quindi inafferrabili mentre questi delitti sono opera di criminali con dei disturbi mentali gravi. A me interessa la giustizia, la verità su quei delitti, non certo ottenere un qualche risarcimento finanziario come figlia di una vittima.”
17 fotografie
Familiari e amici delle vittime si sono impegnati a lungo per promuovere la ricerca della verità sulla vicenda, “senza però avere risposte dallo Stato italiano, che ci ha calpestati, ci ha trattati come rifiuti”, afferma Salvatore Maugeri. “Abbiamo chiesto la restituzione di 17 fotogrammi, gli ultimi ricordi per le famiglie, ma sono andati persi. Da trent’anni ci sono stati sbagli su sbagli. Siamo qui anche per dire la rabbia e il dolore delle famiglie.”
Maugeri si riferisce alle immagini contenute nella macchina fotografica Nikon che Nadine aveva con sé al momento dell’omicidio. “Per me è ovvio che quelle foto hanno un’importanza immensa”, dichiara Anne Lanciotti, “perché esprimono gli ultimi momenti di gioia di mia madre con il suo fidanzato durante un viaggio in Italia. Vorrei vedere quelle foto che immortalano i suoi ultimi momenti di felicità.” “Mia madre”, ricorda, “era una persona allegra e molto dolce. Io la voglio ricordare come una donna sorridente che amava la vita.” “Ci è stato risposto che essi [gli scatti fotografici] sono spariti proprio, come tutti gli altri reperti contestualmente richiesti”, scrive Adriani nella memoria presentata al giudice per opporsi alla richiesta di archiviazione.
Altri reperti scomparsi
Oltre alle 17 fotografie, non vi è traccia del calco dell’impronta di anfibio rinvenuta nei pressi dell’auto Golf di Stefano Baldi, ucciso con la fidanzata Susanna Cambi nelle campagne di Calenzano il 22 ottobre 1981. Il quotidiano La Nazione, tempo fa, ha riportato che tale impronta sarebbe riconducibile a uno stivale in uso presso l’esercito francese. Parimenti non disponibili risulterebbero le fotografie di un’altra orma di stivale militare presente sulla scena del duplice omicidio del 1985, nei pressi della macchia dove il Mostro ha gettato il corpo senza vita di Kraveichvili.
L’ex legionario
Giampiero Vigilanti, ex soldato della legione straniera francese, è stato sottoposto a indagini tese a verificare il suo possibile coinvolgimento nei delitti. La sua posizione è stata archiviata nel 2020, secondo Adriani, “frettolosamente”. Da qui, una richiesta di riapertura delle indagini. Secondo l’avvocato Adriani, infatti, “anche senza scomodare i servizi segreti deviati partendo dal dato oggettivo che il signor Vigilanti percepiva, almeno fino a quando era indagato, una pensione dallo Stato, pur avendo lavorato solo per sette anni, in tutta la sua vita, e per un’impresa di pompe funebri, non sarebbe stato fuori luogo andare alla ricerca, fra le carte, ufficiali e non, riguardanti i suoi ambienti ‘preferiti’, cioè di destra, delle figure di apparato, uomini posti in posizione ‘chiave’ che avrebbero potuto coprirlo, o perché suoi ‘amici’ o perché da lui ‘ricattati’ su scomode verità, non certo perché lo avessero diretto dall’alto nella commissione di crimini in danno di coppie, come si è tentato di attribuire a questa difesa.”
Un elemento che potrebbe risultare significativo sul soggetto in questione proviene da un appunto su di lui redatto, nel novembre 1985, da un agente del Sisde, recuperato nel fascicolo dedicato al soggetto dalla Sam (la Squadra Anti Mostro). In esso, Vigilanti viene descritto come “uomo da combattimento, addestrato al tiro e alla lotta, che si allena al poligono con una Beretta della serie 70.” Un appunto firmato M.M., sigla di un agente del Sisde di allora, che risulta in vita e che Adriani si augura venga sentito per chiedergli “come fosse venuto in possesso di tali informazioni.”