La vicenda processuale per la strage di Ustica ha registrato uno sviluppo problematico e tormentato, che sembra abbia visto in una certa misura contrapposte la verità processuale e la percezione mediatica della vicenda. È l’assunto da cui prende le mosse il volume La strage di Ustica. Il processo e le verità oscurate, di Giampaolo Filiani e Gregorio Equizi, recentemente pubblicato da Bulzoni Editore, casa editrice accademica tra le più prestigiose del nostro Paese. Gli Autori, avvocati, hanno assistito uno degli imputati nel processo per “alto tradimento mediante attentato agli organi costituzionali”, correlato alla strage e conclusosi con l’assoluzione degli imputati in via definitiva.
La vicenda, com’è noto, riguarda l’incidente aereo, avvenuto alle 20,59 del 27 giugno 1980 nel Mar Tirreno meridionale, nel tratto compreso tra le isole italiane di Ponza e Ustica. Vi è stato coinvolto il volo di linea IH870 della compagnia aerea Itavia, partito dall’aeroporto di Bologna-Borgo Panigale e diretto all’aeroporto di Palermo-Punta Raisi.
La partenza del Dc-9 risultava programmata alle 18,15, ma è stata posticipata di circa due ore a causa dell’arrivo in ritardo di un altro aereo. Il volo Itavia ha perso il contatto radio col Centro di controllo d’area di Roma, responsabile del servizio di controllo del traffico aereo in quel settore e situato presso l’aeroporto di Roma-Ciampino. E, dalle analisi delle risultanze acquisite, si è spezzato in almeno due parti ed è precipitato nel mar Tirreno. Nell’incidente hanno perso la vita tutti gli ottantuno occupanti dell’aeromobile, tra passeggeri ed equipaggio.
Sviluppo problematico e tormentato, abbiamo detto, quello del processo relativo al caso, di cui il citato volume ricostruisce, utilizzando la documentazione disponibile, la parte che ha visto imputati, poi definitivamente assolti, degli appartenenti all’Aeronautica Militare. E ribadisce conclusioni che si pongono in antitesi rispetto alle modalità con cui la vicenda è comunemente percepita dal pubblico.
La Commissione stragi e l’ipotesi del missile
Nel 1989 la Commissione Stragi, istituita con la legge n. 172 del 17 maggio 1988 e presieduta dal senatore Libero Gualtieri, ha deliberato di includere tra le proprie competenze anche le indagini relative alla sciagura di Ustica.
La possibilità che l’aereo fosse stato abbattuto da un missile nel corso di una battaglia aerea, pure ventilata, non è stata presa in considerazione dal governo presieduto da Francesco Cossiga. Ascoltato in Commissione, l’ex ministro Rino Formica ha dichiarato di ritenere verosimile tale ipotesi, da lui già sostenuta in un’intervista del 1988 al settimanale l’Espresso: ha riferito che, a prospettare tale possibilità era stato, all’epoca, il generale Saverio Rana, presidente del Registro Aeronautico Italiano che, all’indomani della sciagura e all’esito di un primo esame dei dati radar, avrebbe appunto menzionato la possibilità di un attacco da parte di un caccia. Formica ha definito il generale Rana, nel frattempo deceduto, “un compagno, un amico”[1] nel quale aveva piena fiducia e precisato di aver riferito tale scenario, comunque basato solo su opinioni e intuizioni e non su certezze, al ministro della Difesa Lelio Lagorio. Il 6 luglio 1989, ascoltato a sua volta in Commissione, Lagorio, a proposito di ciò, ha dichiarato: “Mi parve una di quelle improvvise folgorazioni immaginifiche e fantastiche per cui il mio caro amico Formica è famoso.”[2]
Il procedimento giudiziario per alto tradimento
Il procedimento relativo agli autori della strage, rimasti ignoti, non si è mai celebrato, la correlata istruttoria si è conclusa con un non luogo a procedere nel 1999.
Per quanto riguarda quello incentrato sulle attività di depistaggio ipotizzate nei confronti di alti ufficiali dell’aeronautica militare italiana, le indagini si sono concluse il 31 agosto 1999, con una corposa ordinanza di rinvio a giudizio-sentenza istruttoria di proscioglimento (procedimenti penali n. 527/84 e n. 266/90), che ha escluso le ipotesi di una bomba a bordo e di un cedimento strutturale, individuando quindi le cause della sciagura in un evento esterno al Dc-9.
Nell’ordinanza si legge che l’inchiesta sarebbe stata “ostacolata da reticenze e false testimonianze, sia nell’ambito dell’aeronautica militare italiana sia della Nato, le quali hanno avuto l’effetto di inquinare o nascondere informazioni su quanto accaduto.”[3]
Queste le conclusioni: “L’incidente al Dc-9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento, il Dc-9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti.”[4]
Il processo è iniziato il 28 settembre 2000, dinanzi alla terza sezione della Corte di Assise di Roma; le udienze, 272, si sono celebrate nell’aula-bunker di Rebibbia.
Il 30 aprile 2004, la Corte ha assolto dall’imputazione di alto tradimento – per avere gli imputati turbato (e non impedito) le funzioni di governo – i generali Corrado Melillo e Zeno Tascio “per non aver commesso il fatto”. Nei confronti del generale Lamberto Bartolucci (Capo di Stato Maggiore) e del generale Franco Ferri (Sottocapo di Stato Maggiore) si è invocata invece l’intervenuta prescrizione.
Parimenti accertata la prescrizione con riferimento a ulteriori imputazioni (falsa testimonianza, favoreggiamento, etc.) relative ad altri militari. Non più sussistente, infine, il reato di abuso d’ufficio, per intervenute modifiche normative.
La sentenza è stata impugnata e, il 15 dicembre 2005, la Corte d’Assise d’Appello di Roma ha assolto i generali Bartolucci e Ferri dall’imputazione di alto tradimento “perché il fatto non sussiste”. Giudizio confermato, il 10 gennaio 2007, dalla prima sezione penale della Corte di Cassazione.
“Congruamente motivata” la tesi del missile?
Nel febbraio dello stesso anno, l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, all’epoca dei fatti capo del Governo, ha dichiarato che l’abbattimento del Dc-9 di Itavia si dovesse attribuire a un missile “a risonanza e non a impatto”, lanciato da un velivolo francese dell’Aéronavale, decollato dalla portaerei Clemenceau, e che allora i servizi segreti italiani ne avevano subito informato lui e sottosegretario alla Presidenza in carica, Giuliano Amato. Scopo dell’azione, abbattere l’aereo su cui avrebbe viaggiato il dittatore libico Gheddafi.[5]
Ricostruzione fatta propria da un nuovo procedimento giudiziario avviato a Palermo e conclusosi il 28 gennaio 2013 con una sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato quanto stabilito in sede di merito circa il risarcimento dovuto alle famiglie delle vittime dai ministeri italiani della Difesa e dei Trasporti, che non si sarebbero adeguatamente adoperati per prevenire il disastro e che, in seguito, avrebbero ostacolato l’accertamento dei fatti.
La Suprema Corte ha quindi ritenuto “abbondantemente e congruamente motivata” la tesi – adottata dai giudici di Palermo pure, a quanto riportano alcune fonti, senza istruttoria in merito[6] – secondo cui sarebbe stato appunto un missile ad abbattere il Dc-9 di Itavia.
Riconsiderando le sentenze del 2005 e del 2007
Il contributo pubblicato da Filiani ed Equizi si focalizza, come detto, sul processo nei confronti degli esponenti dell’Aeronautica Militare, che ha preso avvio dinanzi alla Corte d’Assise di Roma nel 2000 e che è culminato con l’assoluzione in via definitiva dei generali Melillo e Tascio e, successivamente, con quella dei generali Bartolucci e Ferri.
E qui, Filiani ed Equizi sottolineano il dato accennato all’inizio: la discrepanza tra la verità processuale (relativa al procedimento in questione) e la percezione generalizzata della vicenda, per quanto riguarda le reali cause dell’incidente. Percezione generalizzata peraltro alimentata, lo abbiamo visto, anche da successive pronunce giudiziali.
“Il 27 giugno, ricorrenza della cosiddetta strage di Ustica”, scrivono gli Autori del volume pubblicato da Bulzoni, “è l’occasione per ripetere slogan di Stato nel momento del rinnovato dolore per le ottantuno vittime, e torna in scena lo spettacolo mediatico fatto di mistificazioni, alla ricerca del falso scoop. Sono trascorsi più di quarant’anni e la verità mediatica è rimasta la sola ad essere divulgata: la suggestiva, infondata ipotesi della battaglia aerea continua infatti ad alimentare la fantasia di giornalisti e lettori. La verità storica”, proseguono, “rischia di rimanere per sempre offuscata, mentre la verità giudiziaria, scritta a chiare lettere nelle sentenze della Corte d’Assise d’Appello di Roma e della Corte di Cassazione, viene sistematicamente ignorata.”[7]
Affermazione certamente idonea a innescare ulteriori discussioni e forse polemiche. Anche considerando che il contributo recentemente pubblicato recupera una relazione tecnica richiesta dal giudice istruttore nel corso del procedimento preso in esame e in seguito ritenuta viziata da asserite incongruenze e illogicità.
Tale relazione tecnica, elaborata da un collegio di esperti internazionali (il cosiddetto “collegio Misiti”) era pervenuta alle seguenti conclusioni: “l’ipotesi dell’abbattimento da missile è rigettata; l’ipotesi del cedimento strutturale è rigettata; l’ipotesi della collisione in volo è rigettata; l’ipotesi di esplosione interna è stata considerata come tecnicamente sostenibile; l’ipotesi di quasi-collisione è rigettata.”[8]
Conclusioni palesemente difformi dallo scenario sposato in sede giornalistica, adottato nell’ambito delle indagini che hanno costituito la premessa del processo del 2000 conclusosi in Cassazione nel 2007 e, lo abbiamo visto, in seguito recepito nel procedimento culminato con la condanna dei ministeri e con la pronuncia della Suprema Corte del 2013.
La sentenza di appello (15 dicembre 2005)
Ma la di là delle conclusioni del “collegio Misiti” – ribadite in sede di chiarimenti depositati da due degli esperti incaricati (“il lavoro effettuato, a parere dei Periti Firmatari, ha portato certamente ad un risultato utile: il relitto ricostruito nell’hangar di Pratica di Mare non porta alcun segno di abbattimento mediante missile o missili”[9]), secondo Filiani ed Equizi, sono le sentenze della Corte d’Assise d’Appello (15 dicembre 2005) e della Corte di Cassazione (n. 9174 del 10 gennaio 2007) ad alimentare dubbi sull’effettiva causa della sciagura. Il volume qui considerato riporta ampi stralci della sentenza d’appello, tra cui il seguente, particolarmente significativo:
“A differenza delle altre parti processuali che hanno accettato comunque la decisione di questa corte, qualche familiare delle vittime ha definito una vergogna l’assoluzione oppure ha accusato la magistratura di non aver voluto accertare fino in fondo la responsabilità dell’accaduto. Questa Corte era ben conscia dell’impatto negativo di una ulteriore sentenza assolutoria anche nei confronti dei due generali, ma a fronte di commettere un’ingiustizia, perché tale sarebbe stata la conferma della sentenza o una condanna, andare contro l’opinione pubblica non costituisce un ostacolo. In quel caso, allora, si sarebbe trattato di una vergogna perché si sarebbero condannati o ritenuti responsabili di un reato persone nei cui confronti vi era un difetto assoluto di prova” (p. 48).
La sentenza fa, quindi, riferimento alle relazioni tecniche volte a individuare la dinamica dei fatti: “La Commissione [ministeriale, ndr] Luzzatti, con relazione depositata il 16 marzo 1982, concluse ritenendo che la subitaneità dell’evento, la gravità dello stesso e l’alto livello di energia sviluppatosi all’interno dell’aereo potevano trovare riscontro solo nell’ipotesi di cedimento strutturale causato da deflagrazione di ordigno esplosivo. Non si era in grado di affermare se l’ordigno fosse stato collocato a bordo prima della partenza o se provenisse dall’esterno dell’aereo. Erano da escludere sia l’ipotesi del cedimento strutturale spontaneo sia quella della collisione con altro velivolo” (p. 4).
Circa il parere degli esperti dell’Aeronautica militare, la sentenza d’appello riporta che l’ipotesi secondo cui la deflagrazione sarebbe stata determinata “da una massa di esplosivo presente a bordo del velivolo, alla luce delle considerazioni fatte, sia dotata di elevata probabilità” (p. 5).
Cita, infine, i richiamati esiti della relazione del collegio Misiti.
E ciò, precisa la Corte d’Assise d’appello, “allo scopo di evidenziare che in tutto il complesso ragionamento effettuato dalla Corte di primo grado per addivenire all’esistenza dei plots -17 e -12 [tracce radar, ndr] e, ma con un salto logico non giustificabile, quindi all’esistenza di un velivolo che volava accanto al Dc-9 Itavia è supportato solo da ipotesi, deduzioni, probabilità e da basse percentuali e mai da una sola certezza. Non è stato raggiunto, cioè, un risultato di ragionevole certezza su un presunto velivolo che avrebbe volato accanto o sotto il Dc-9 Itavia anche successivamente con mezzi di ricerca certamente più completi ed esaurienti di quelli in essere nel 1980 ma sono emerse solo mere probabilità di significato, quindi, dichiaratamente neutro” (p. 68).
“A ciò vanno aggiunti”, prosegue la sentenza della Corte d’Assise d’appello di Roma, “i vari accertamenti e comunicati da cui risulta che tutti gli aerei italiani erano a terra, che i missili di dotazione italiana erano nei loro depositi, che gli aerei militari alleati non si trovavano nella zona del disastro e che nell’ora e nel luogo del disastro non vi erano velivoli di alcun genere.”
“Tale ricostruzione”, spiega la Corte, “trova conforto anche nel silenzio dell’aereo della Air Malta, che seguiva a breve distanza il velivolo Itavia, che è atterrato tranquillamente a Malta e che non ha segnalato alcunché di irregolare lungo la sua rotta: se vi fossero stati altri velivoli certamente li avrebbe visti e comunicati” (p. 115).
Dura la conclusione di questa parte della sentenza: “Tutto il resto è fantapolitica o romanzo che potrebbero anche risultare interessanti se non vi fossero coinvolte ottantuno vittime innocenti. In linea del tutto teorica è possibile che i fatti si siano svolti come li ha ritenuti il Giudice di primo grado ma sulle ipotesi non possono costruirsi sentenze di condanna” (p. 116).
Ancora: “Tutto il resto, non essendo provato, è solo frutto della stampa che si è sbizzarrita a trovare scenari di guerra, calda e fredda, un intervento della Libia, la presenza sul posto del suo leader Gheddafi e così via fino a cercare di escogitare un (falso) collegamento con la caduta di un aereo Mig di nazionalità libica avvenuto in data successiva” (Ibidem).
La sentenza della Cassazione (10 gennaio 2007)
In breve, consideriamo che, nella pronuncia del 10 gennaio 2007, la Suprema Corte ha confermato le valutazioni e le argomentazioni della Corte d’Assise d’appello. Ne riportiamo solo due passaggi.
“L’ipotesi dell’accusa [attacco aereo, ndr] si fonda sulla pretesa esistenza di tracce (in gergo tecnico denominate ‘plot’, individuati con i numeri -17 e -12) che furono rilevati da uno solo dei radar attivi la sera del disastro e cioè dal radar ‘Marconi’, Altri radar più moderni e più sensibili di quello indicato e quelli dislocati in altre località non rilevarono detti plot. Il giudice di primo grado dedusse da tali elementi ‘una probabilità apprezzabile’ della presenza di almeno un velivolo nei pressi dell’aereo Itavia. La sentenza impugnata [della Corte d’Appello, ndr] ha invece ritenuto che non trattandosi di ‘elevata probabilità logica’ ovvero di ‘probabilità prossima confinante con la certezza’ sulla presenza di altro aereo in zona, questa sola conoscenza non fosse sufficiente a formulare ipotesi di alcun tipo se non supportata da altri elementi […].”[10]
Né, precisa la pronuncia della Suprema Corte in un altro passaggio, si è “in presenza di una prova incompleta, poiché all’esito di una lunga e complessa istruttoria formale da parte del Giudice Istruttore (durata 19 anni e conclusa con una sentenza-ordinanza di 5468 pagine), seguita da quella dibattimentale con 272 udienze, è stata acquisita una imponente massa di dati dai quali peraltro non è stato possibile ricavare elementi di prova a conforto della tesi di accusa.”[11]
Quale verità
Secondo Filiani ed Equizi, la pronuncia della Cassazione del 2007 avrebbe dunque segnato la “definitiva cancellazione dal piano della realtà giudiziaria della suggestiva quanto errata narrazione [abbattimento del Dc-9 Itavia nel corso di una battaglia aerea, ndr] contenuta nell’ordinanza di rinvio a giudizio del dott. Rosario Priore.”[12] “Tuttavia”, aggiungono gli Autori, “sul piano mass-mediatico, l’ordinanza Priore continua tutt’ora ad essere divulgata come se il processo Ustica a carico dei vertici dello SMA [Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, ndr] non fosse mai stato celebrato.”[13]
Non manca, nel volume, la prospettazione di uno scenario alternativo e delle dinamiche politico-economiche sottese, sposando la tesi della connessione della sciagura aerea con un’altra drammatica vicenda della storia italiana recente. “La storia della strage di Ustica”, si legge, “non è quella del ‘muro di gomma’ plasticamente rappresentata, anche cinematograficamente, dai portavoce della cultura del sospetto, ma è la storia delle ‘cortine fumogene’ che hanno impedito di raccontare la complessa vicenda storica e giudiziaria senza pregiudizi e preconcetti, o di scorgere le macroscopiche connessioni tra la strage del volo Bologna-Palermo del 27 giugno e quella della stazione di Bologna avvenuta a distanza di poco più di un mese.”[14]
A queste parole si potrebbe obiettare che, negli sviluppi giudiziari della strage di Ustica, oltre alle esaminate sentenze del 2005 e del 2007, rientri anche la pronuncia della Cassazione del 2013 che, si è visto, ha definito “abbondantemente e congruamente motivata” l’ipotesi della battaglia aerea.
Ma il libro qui presentato, a nostro avviso, merita di essere letto, studiato e meditato, comunque la si pensi sulla vicenda, perché ha il pregio di ricostruire il processo per alto tradimento esclusivamente attraverso le fonti, giudiziarie e tecniche, dando conto nel modo più approfondito delle problematiche prospettatesi in ogni sua fase.
Lo si potrebbe definire un avvincente saggio di metodologia della ricerca (storiografica, giornalistica, etc.): lo studio di casi tanto drammatici e complessi come quello qui considerato deve imprescindibilmente prendere le mosse dalle risultanze investigative e giudiziarie. Può sembrare, questa, una precisazione superflua ma, in un’epoca in cui, in generale, la “verità” viene veicolata attraverso l’incontrollata propagazione mass-mediatica di superficiali e non verificate “enunciazioni”, vale la pena di ribadirlo.
[1] M. Caprara, “Ustica, un missile sull’aereo. Me lo disse subito un generale”, Corriere della Sera, 28 giugno 2010.
[2] Ibidem.
[3] A. Purgatori, “Ustica, atto d’accusa contro l’Aeronautica”, Corriere della Sera, 20 febbraio 1992.
[4] Sentenza-ordinanza del giudice istruttore Rosario Priore, 31 agosto 1999.
[5] “Strage di Ustica, nuove indagini. Sentito Cossiga: un missile francese”, Corriere della Sera, 22 giugno 2008.
[6] https://it.wikipedia.org/wiki/Condanna_dello_Stato_Italiano_nella_strage_di_Ustica (consultato il 16 agosto 2023).
[7] G. Filiani, G. Equizi, La strage di Ustica, il processo e le verità oscurate, Bulzoni, Roma, 2023, p. 15.
[8] G. Filiani, G. Equizi, op. cit., p. 18.
[9] Ibidem.
[10] G. Filiani, G. Equizi, op. cit., p. 236.
[11] G. Filiani, G. Equizi, op. cit., p. 242.
[12] Ibidem.
[13] Ibidem.
[14] G. Filiani, G. Equizi, op. cit., pp. 18-19.