Roma. Il 7 agosto 1990, la 21enne Simonetta Cesaroni è stata uccisa con 29 coltellate negli uffici dell’A.I.A.G. (Associazione Italiana Alberghi della Gioventù), in via Carlo Poma n. 2, con cui collaborava.
Dopo trentatré anni, sospettati prosciolti e una assoluzione in via definitiva, il suo omicidio è ancora senza un colpevole. Com’è noto, le prime indagini hanno condotto all’individuazione del responsabile in Pietrino Vanacore, il portiere dello stabile in cui è stato commesso il delitto, successivamente scagionato. All’inizio del 1993, una seconda indagine si è infruttuosamente focalizzata su Federico Valle, giovane nipote dell’architetto che viveva all’ultimo piano del palazzo e che lo aveva progettato. Vent’anni dopo il delitto, Raniero Busco, fidanzato di Simonetta all’epoca dei fatti, è stato processato per l’omicidio e assolto in via definitiva.
Ora, forse, le indagini potrebbero essere riaperte, con l’analisi di una macchia di sangue di gruppo A positivo recuperata all’epoca sulla scena del crimine. Si trovava sulla maniglia di una porta e, a quanto scrive il Corriere della Sera, non sarebbe finora mai stata presa in considerazione dagli investigatori.
L’auspicato nuovo corso dell’indagine si potrebbe orientare anche verso ipotesi alternative per quanto riguarda l’arma del delitto. A lungo si è ipotizzato che la giovane fosse stata accoltellata con un tagliacarte. Più recentemente si è valutata la possibilità che l’aggressione mortale possa essere stata compiuta con una lama più lunga e appuntita, forse uno spadino da uniforme.
La relazione sulla vicenda della Commissione parlamentare antimafia, trasmessa alla Procura di Roma nei mesi scorsi, propone ulteriori spunti di indagine che, se approfonditi, potrebbero condurre a utili sviluppi. Lo si legge da tempo sui giornali ed è quanto ci si augura.
Paola Cesaroni, la sorella di Simonetta, l’avvocato di parte civile Federica Mondani e il giornalista Igor Patruno, sentiti in commissione, hanno ricostruito il caso, appunto segnalando piste a loro dire utili da percorrere. Quella, per esempio, delle telefonate anonime che Simonetta Cesaroni aveva ricevuto, tempo prima di essere uccisa, nella profumeria del quartiere Tuscolano dove aveva lavorato come commessa.
La commissione ha inoltre indicato dei soggetti correlati al condominio di via Poma, i cui alibi non sarebbero mai stati verificati e i cui gruppi sanguigni, come detto, non sarebbero stati posti in comparazione con quello repertato sul locus commissi delicti. E, ancora, avrebbe anche preso in esame un’intervista televisiva, realizzata per la trasmissione di Rai3 Chi l’ha visto? dall’inviato Giuseppe Pizzo, a un “misterioso professionista”.
Si giungerà mai alla verità sulla vicenda?