Roma. “Via libera unanime all’istituzione della commissione parlamentare di inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori da parte della commissione Affari Costituzionali del Senato. Il provvedimento, già approvato dalla Camera, ora passa in Aula del Senato per l’ok definitivo.”
Questo si leggeva sull’Ansa del 27 giugno scorso. Notizia accolta con favore da Pietro Orlandi, fratello di Emanuela e Maria Antonietta Gregori, sorella di Mirella, nella speranza che la commissione riuscisse finalmente ad approdare alla verità sulle note vicende, in un frangente in cui al caso Orlandi si stanno peraltro dedicando, di concerto, anche la Procura della Repubblica di Roma e l’ufficio del Promotore di Giustizia vaticano.
E proprio relativamente alla giovane cittadina vaticana di cui si sono perse le tracce il 22 giugno 1983, gli sviluppi registratisi in questi mesi hanno puntualmente innescato vivaci polemiche. Prima si è delineato lo scenario dei presunti abusi consumatisi in Vaticano (evocati dal noto “audio shock” su Wojtyla dell’ex sodale della Banda della Magliana). Poi è riemersa la cosiddetta “pista familiare”, legata allo zio di Emanuela e alle presunte avances “verbali” che questi, nel 1978, avrebbe rivolto alla di lei sorella maggiore. Pista all’epoca abbandonata perché ritenuta infondata.
Pietro Orlandi, fratello della giovane scomparsa, ha commentato: “Non mi fido più né della Procura di Roma, né di quella vaticana. Ho consegnato loro documenti molto importanti sulla scomparsa di mia sorella [tra cui, appunto, il citato “audio shock”, ndr] ma preferiscono indagare sulla pista familiare.”
Da parte sua, il Vaticano ha recentemente dichiarato di condividere “il desiderio della famiglia di arrivare alla verità sui fatti” e, a tale fine, ha auspicato “che tutte le ipotesi di indagine siano esplorate.” Auspicio, questo, senz’altro condivisibile.
Resta, però, il dato della coesistenza – relativamente alla medesima vicenda – di un’indagine giudiziaria e di un’inchiesta parlamentare: un problema, prima di tutto, giuridico, con implicazioni politico-istituzionali.
“Iniziative di inchieste con cui si intende sovrapporre l’attività del Parlamento ai giudizi della magistratura si collocano al di fuori del recinto della Costituzione e non possono essere praticate”, ha dichiarato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alla cerimonia della consegna del ventaglio da parte della stampa parlamentare, sottolineando che “non esiste un contropotere giudiziario del Parlamento, usato parallelamente o, peggio, in conflitto con l’azione della Magistratura.”
Il Capo dello Stato ha parlato, evidentemente, in termini generali ma, constata il Giornale, è difficile non leggere nelle sue parole un riferimento alle due commissioni d’inchiesta più note tra quelle che potrebbero vedere la luce in questa legislatura: quella sul Covid e quella appunto sul caso Orlandi-Gregori.
Dunque? Che ne sarà dell’organismo parlamentare? Alcuni lo ritengono l’unico modo per giungere alla verità. Altri, prima delle dichiarazioni di Mattarella, ne avevano messo comunque in dubbio l’effettiva utilità, attesa l’indagine giudiziaria in corso. Se vedrà davvero la luce, comunque, la commissione di inchiesta avrà ovviamente un costo: 50mila euro l’anno tra personale, locali e strumenti operativi vari.