Roma. Gli sviluppi registratisi nei giorni scorsi nell’ambito del caso Emanuela Orlandi hanno suscitato accese polemiche e indotto chi se ne interessa a livello giornalistico a ribadire le proprie ipotesi, a riaffermare gli scenari percorsi. Un’occasione utile per riconsiderare le molteplici sfaccettature di una vicenda di estrema complessità, dai confini che sembrano destinati a rimanere indefiniti. In un singolare frangente in cui, com’è noto, sulla scomparsa della cittadina vaticana avvenuta a Roma il 22 giugno 1983, stanno indagando, di concerto, la procura della repubblica e la magistratura vaticana. Alle quali presto si affiancherà una commissione bicamerale di inchiesta specificamente deputata a far luce sul caso de quo, oltre che su quello di Mirella Gregori, scomparsa il 7 maggio 1983. Quali, dunque, i principali scenari presi in considerazione dai giornalisti investigativi?
Una raffinata operazione di intelligence
Nessuna “pista familiare”, come quella recentemente rievocata e riferita allo zio di Emanuela, Mario Meneguzzi. Ne è convinto il giornalista investigativo Fabrizio Peronaci, autore di diversi saggi sulla vicenda. “Non dobbiamo cadere nell’errore di considerarla una pista”, considera in un’intervista rilasciata al Quotidiano Nazionale, “ma quest’ultima ‘fiammata’ va inquadrata in quello che è stato davvero il caso Orlandi, una raffinatissima operazione di intelligence tesa ad attuare un ricatto in quell’epoca orrenda che erano i primi anni ’80 dove all’ombra del Vaticano avvenivano cose gravissime come l’uccisione del banchiere Roberto Calvi o il tentato omicidio del suo vice Roberto Rosone da parte del boss della Banda della Magliana, Danilo Abbruciati.”
Secondo il giornalista, la soluzione del caso risiederebbe in una molteplicità di moventi, un ricatto a più livelli. Comprensibile solo risalendo proprio a quegli anni e ipotizzando l’intersecarsi della pista internazionale con quella economica legata allo Ior.
Diversamente, vari elementi non troverebbero spiegazione: il fatto che anche altre ragazze vaticane, figlie di personaggi più in alto del padre di Emanuela, fossero pedinate; l’allerta su possibili rapimenti, proveniente, fin dal 1981, dai servizi segreti francesi. “Ci fu un’azione premeditata che si spiega nel legame con l’attentato a papa Wojtyla di quell’anno. Alì Agcà finisce in galera subito, condannato a luglio all’ergastolo ma al tempo stesso comincia a ricevere in carcere esponenti dei servizi segreti che gli promettono che verrà liberato”, valuta Peronaci.
Un ulteriore elemento riguarderebbe l’atto di emigrazione di Emanuela: prima era cittadina italiana, il cambio di cittadinanza sarebbe avvenuto nel marzo 1983, circa tre mesi prima della scomparsa. E sarebbe risultato “funzionale al fatto che da cittadina vaticana il Papa se ne sentisse coinvolto, e infatti il Papa rivolge una serie di appelli per la liberazione”, prosegue il giornalista.
Prima che, il 22 giugno di quell’anno, se ne perdano le tracce, la giovane ha telefonato a casa riferendo che le era stato offerto un lavoro per la Avon, con un esorbitante compenso. Secondo Peronaci, nel corso della telefonata, Emanuela avrebbe utilizzato parole in codice. “‘Avon’ è l’anagramma di una fondazione pontificia, la Nova, che si occupava delle finanze vaticane e dei soldi girati a Solidarnosc. Si voleva dire, basta con tutti questi soldi in Polonia perché non sono tutti puliti.”
Ad operare, dietro le quinte, un’entità che il giornalista ha denominato il “Ganglio”, composto da esponenti dei servizi segreti deviati, massoni, elementi provenienti da ambienti ecclesiastici e da contesti criminali. E, a suo giudizio, un ulteriore riscontro a tale tesi giungerebbe proprio dagli sviluppi di questi giorni, relativi a Mario Meneguzzi. “Fu lui ad assumere il ruolo di portavoce della famiglia e a far sostituire l’avvocato che avevano preso gli Orlandi con un altro, l’avvocato Egidio, pagato dal Sisde. Perché un avvocato del Sisde quando ad esempio la famiglia di Mirella Gregori aveva un suo avvocato pagato faticosamente di tasca propria?”
La mancanza di una prova del fatto che Emanuela fosse in vita, potrebbe attribuirsi a varie cause, conclude. La giovane potrebbe, ad esempio, essere stata allontanata e posta sotto protezione: Peronaci non esclude un suo trasferimento all’estero secondo procedure adottate per proteggere i pentiti.
Un rapimento organizzato da Enrico de Pedis
“Il promotore di giustizia Alessandro Diddi non mi può smentire, sono certo della fonte che mi ha dato la notizia. Diddi e Neroni hanno avuto un contatto, un colloquio. Non si sa se nella forma di una telefonata o di un vero e proprio incontro, questo dovrebbe dirlo lui.”
È, questa, una dichiarazione rilasciata dal giornalista e blogger Alessandro Ambrosini al Quotidiano Nazionale. E che si riallaccia a uno sviluppo del caso registratosi a dicembre 2022. Quando Ambrosini ha reso nota la registrazione di un colloquio da lui avuto nel 2009 con Marcello Neroni, ex sodale di Enrico de Pedis, boss della Banda della Magliana. Precisamente, Neroni poteva considerarsi, nelle parole dello stesso giornalista, un “elemento di snodo” “tra la Banda della Magliana da un lato e le forze dell’ordine dall’altro perché dava e riceveva notizie.”
La citata dichiarazione di Neroni, correlabile al caso Orlandi, non ha mancato di suscitare comprensibile scalpore, perché riferita a presunte abitudini di papa Wojtyla: “… pure insieme se le portava a letto, se le portava, non so dove se le portava, all’interno del Vaticano. Quando è diventata una cosa che ormai era diventata una schifezza, il segretario di Stato ha deciso di intervenire. Ma non dicendo a Wojtyla ora le tolgo da mezzo. Si è rivolto a chi? Lui essendo esperto del carcere perché faceva il cappellano al riformatorio, si è rivolto ai cappellani del carcere. Uno era calabrese, un altro un furbacchione. Un certo Luigi, un certo padre Pietro: non hanno fatto altro che chiamare De Pedis e gli hanno detto sta succedendo questo, ci puoi dare una mano? Punto. Il resto so’ tutte caz*ate.”
Nell’intervista a QN, Ambrosini riferisce che, dopo la diffusione dell’audio, Neroni si sarebbe reso irreperibile: “Anche per questo sarebbe fondamentale sapere se Diddi lo ha convocato, tramite rogatoria? Tramite qualche conoscenza? O se gli ha solo parlato al telefono. In questo ultimo caso una sua eventuale testimonianza non varrebbe nulla.”
Il ruolo di de Pedis e della sua batteria – non della Banda della Magliana – sarebbe stato decisivo per l’attuazione del rapimento, spiega il giornalista che, in tema di moventi, ipotizza l’intento di “forzare un ricatto” e l’esigenza di tenere celate “anche delle forme di molestie, dei rapporti indicibili.”
Qualunque cosa fosse, doveva comunque essere avvenuta molto vicino al Papa: diversamente non risulterebbe spiegabile, argomenta Ambrosini, il fatto che il pontefice sia stato tempestivamente informato del rapimento, che abbia formulato gli appelli per la liberazione di Emanuela e che abbia indicato alla famiglia la pista del terrorismo internazionale. In ogni caso, “non può essere la semplice molestia di un prete, di un cappellano, il motivo deve essere legato a un personaggio di altissimo livello.”
Da approfondire, tra le altre cose, il ruolo rivestito, nella vicenda, dai cappellani del carcere, cui lo stesso Neroni fa dettagliatamente riferimento nella registrazione. E, per quanto riguarda la pista Meneguzzi, Ambrosini dichiara di considerarla un grave “depistaggio attuato attraverso i media”.
Un omicidio in seguito a violenza
“La pista amical-familiare è statisticamente la più diffusa ma è l’unica che in questo caso non si è voluta prendere in considerazione”. Lo afferma – intervisto a sua volta dal Quotidiano Nazionale – il giornalista Pino Nicotri, che ha dedicato alla vicenda di Emanuela Orlandi quattro volumi, l’ultimo dei quali, Il rapimento che non c’è, chiarisce fin dal titolo la prospettiva da cui osserva il caso. Le sue indagini e le valutazioni che ne ha tratto sono state recentemente acquisite come testimonianza dal promotore di giustizia Diddi. Nicotri ha avuto con il magistrato vaticano un colloquio di tre ore, nel corso del quale – riferisce – non ha affrontato la pista Meneguzzi, ma un’altra, legata alla partecipazione di Emanuela, circa un mese prima della scomparsa, al programma televisivo Tandem, trasmesso dalla Rai.
“Ho notato che era in prima fila, inquadrata spesso”, spiega il giornalista, “è possibile che qualcuno della troupe avesse notato questa ragazza e la facesse inquadrare con una certa insistenza, da lì potrebbe essere nato qualche rapporto di conoscenza ma la cosa non è mai stata indagata. È importante invece perché ricostruendo anche le varie fasi del giorno della scomparsa, il 22 giugno 1983, appare più plausibile che lei, su Corso Rinascimento, dopo aver perso l’autobus, si fosse fermata a parlare con qualcuno che conosceva.”
L’ipotesi del sequestro non convince Nicotri, che fa riferimento alla testimonianza di Laura Casagrande, amica di Emanuela, con cui la giovane aveva percorso un tratto di strada all’uscita della scuola di musica. La Casagrande si sarebbe più volte girata a guardarla e poi l’avrebbe persa di vista. “Possibile che in un posto come quello, con il Senato e le redazioni dei giornali a pochi passi, negli anni del terrorismo, si sia potuto operare un sequestro? Forse piuttosto ha seguito qualcuno”, valuta il giornalista. Del resto, un elemento che dovrebbe indurre a dubitare che la scomparsa sia da ricondursi a un rapimento è il fatto che i presunti sequestratori non abbiano fornito alcuna prova in tal senso.
Nicotri rimarca la necessità di cercare di ricostruire il vissuto della ragazza nei giorni che hanno preceduto la sua sparizione. Sembra che spesso marinasse la scuola, in un tema aveva parlato “degli amici che ti mollano”. “Forse”, ipotizza, “Emanuela aveva un problema, un qualche problema che non la faceva stare bene.”
A ridosso dei fatti, il magistrato Margherita Gerunda stava percorrendo l’ipotesi dell’omicidio seguito a una violenza ma, il 18 luglio, l’indagine le era stata tolta. Nicotri riferisce delle dichiarazioni ricevute in proposito proprio da Gerunda: “Lei mi disse che erano sempre stati convinti che fosse un normale caso di violenza sessuale e che però era una cosa molto brutta da dire alla famiglia così si prendevano in considerazione anche altre ipotesi.” E, a proposito dello zio di Emanuela, di cui in questi giorni tanto si è parlato: “[Gerunda] mi disse anche che non vedeva di buon occhio lo zio Meneguzzi perché era troppo protagonista, sembrava volesse sapere come andavano le indagini. Anche il magistrato successivo Sica sospettava di lui, lo faceva pedinare.” Proprio in questi giorni è stata pubblicata l’intervista a un ex poliziotto, all’epoca impegnato a indagare sul caso, secondo cui Meneguzzi sarebbe risultato in realtà del tutto estraneo ai fatti.
In ogni caso, il primo errore, secondo Nicotri, è stato riservare maggiore interesse alla pista bulgara correlata ad Alì Agca, utile, considera, ad alimentare – nel clima di una guerra fredda non ancora tramontata – lo sdegno nei confronti dell’Unione Sovietica.
Quindi, un abuso culminato nella morte della vittima? In casi del genere, conclude il giornalista, i motivi che possono indurre un aggressore a celare il suo operato sono sostanzialmente due: “Il primo naturalmente è che non si vuole essere scoperti.” E il secondo, la “vergogna perché hai abusato di una fiducia, ad esempio della fiducia della famiglia Orlandi.”
“Il punto centrale è la pista dei soldi”
Questi tre degli scenari che potrebbero spiegare la scomparsa di Emanuela Orlandi. Nessuna pretesa, ovviamente, di approdare qui a esiti risolutivi. Concludiamo con le valutazioni di un altro giornalista che per tanti anni si è dedicato allo studio del caso. In un’intervista a Vanity Fair, alla domanda su quale ipotesi, tra quelle possibili, ritenesse più convincente e riscontrabile, Andrea Purgatori – mancato proprio ieri – ha detto: “Non trovo prove certe e assolute per nessuna. Sicuramente però quella del terrorismo internazionale va esclusa, è la meno attendibile. La pista della pedofilia può avere senso e coesistere con quello che è successo. Ma il punto centrale è la pista dei soldi.”
Cosa si cela dunque dietro la scomparsa di Emanuela Orlandi? Quale, tra quelli considerati, potrebbe davvero rivelarsi lo scenario più plausibile? E può avere un qualche fondamento l’ipotesi, prospettata dal settimanale Panorama nell’agosto 1983, secondo cui il fatto avrebbe potuto porsi in relazione con gli analoghi episodi registratisi a Roma nello stesso periodo? Quaranta anni di ricerche non sono stati in grado di rivelare la verità. Non resta che sperare nel nuovo corso dell’indagine giudiziaria, nei lavori della prossima commissione parlamentare di inchiesta e nei giornalisti investigativi.