Roma. La pista dello zio di Emanuela Orlandi era già stata vagliata dagli inquirenti all’epoca della scomparsa, ma non era approdata a nulla di concreto. Nessun coinvolgimento dell’uomo nella vicenda.
Lo ribadisce, nel corso della trasmissione Quarto Grado, Pietro Meneguzzi, figlio di Mario, appunto lo zio dei fratelli Orlandi, di cui in questi giorni si è parlato insistentemente. E fornisce una versione del tutto coincidente con quella già proposta da Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela. La riporta Il Fatto quotidiano: “Mio padre quella sera [il 22 giugno 1983, giorno della scomparsa della giovane, ndr] era a Torano in villeggiatura con mia madre, mia sorella e mia zia Anna. Erano partiti tre giorni prima. Chiamò mio zio Ercole [il papà di Emanuela, ndr] a casa, erano le 9,30 di sera [altre fonti, in questi giorni, hanno riportato che la telefonata sarebbe invece avvenuta a mezzanotte, ndr]. Mi disse che Emanuela non era rientrata, cercava mio padre, gli dissi che era fuori e gli telefonò su in montagna. Ci sono testimoni, interrogarono tutti i parenti, subito. Sanno tutto bene. Indagarono anche su di noi. Noi pensavamo l’avesse presa un balordo.”
Piena concordanza con quanto dichiarato da Pietro Orlandi anche sulle circostanze della nomina l’avvocato Gennaro Egidio come legale della famiglia: “Lo portarono i Servizi”, afferma il figlio di Meneguzzi. “Mio padre propose Gatti, il suo avvocato.” Se ne è parlato nuovamente, in questi giorni, perché, anche sotto questo aspetto, i dati a disposizione sembrano contraddirsi: in un articolo del 28 luglio 1983, il Correre della Sera aveva riportato una dichiarazione di Mario Meneguzzi in cui lo zio di Emanuela affermava di aver scelto personalmente l’avvocato Egidio, le cui peculiari competenze ne facevano la persona adatta a gestire le problematiche connesse con la scomparsa della ragazza.
E, a proposito delle avances verbali di Mario nei confronti di Natalina, la sorella maggiore di Emanuela: “Ho saputo in conferenza stampa di queste avances verbali. Chi non vuole che la commissione [parlamentare di inchiesta, ndr] venga istituita sta facendo di tutto per impedirlo. La commissione può scardinare cose importanti ma il Vaticano troverà una falsa verità.”
In questi giorni, gli sviluppi del caso non hanno mancato di provocare, ancora una volta, polemiche. Che, in generale, quando accompagnano una indagine, rendono sempre realistico il rischio di approdare ad esiti errati e di trascurare prospettive forse utili alla ricerca della verità.
Non sarebbe ora di “dire che il Vaticano non ha mai avuto nulla a che fare con Emanuela Orlandi?”, si chiede oggi Dagospia. E fa riferimento ad alcuni dati di cui abbiamo già parlato tempo fa: “Prendete come centro la Basilica di San Pietro”, scrive il sito, “tracciatevi intorno una circonferenza di un chilometro e mezzo: tra maggio e giugno del 1983, da dentro quel perimetro, sono scomparse sedici ragazze, tra le quali Emanuela Orlandi, con un’età tra i quattordici ed i diciotto anni. Nessuna di loro è mai stata ritrovata, ammesso che qualcuno le abbia cercate per davvero.”
Sono gli esiti di uno studio recentemente commissionato dall’avvocato Valter Biscotti ai criminologi dell’istituto NeuroIntelligence, che recupera dati risalenti appunto all’epoca della scomparsa di Emanuela Orlandi ma anche – è bene ricordarlo, perché la vicenda è sempre rimasta in ombra rispetto a quella della cittadina vaticana – di Mirella Gregori.
“Se appena appena si allarga il cerchio, ma neanche più di tanto, e vi si aggiunge due o tre quartieri limitrofi, dal 1982 al 1983, lo studio accerta che nell’area geografica presa in considerazione […] i casi salgono a 34, tutte ragazze con una età media di 15,7 anni. Nessuna è mai stata ritrovata”, prosegue Dagospia.
Lo studio citato recupera un’ipotesi investigativa prospettata dopo la scomparsa di Mirella e di Emanuela e percorsa anche in un’inchiesta di Panorama, che poneva l’accento su un fenomeno dalle proporzioni inquietanti. Il primo agosto 1983, il settimanale pubblicò un servizio di Marina Bussoletti e Bruno Ruggiero intitolato “Emanuela e le altre” nel quale, prendendo le mosse dal caso Orlandi appena verificatosi, ci si soffermava sui duemila minorenni scomparsi quell’anno in Italia, “in maggioranza ragazze”. Una pista investigativa concreta e documentata che, con un appropriato approccio criminologico, inscriveva il caso Orlandi in una prospettiva più ampia e che probabilmente varrebbe la pena di recuperare, tra le altre possibili. Ma che, riproposta oggi, non sembra aver avuto particolare risalto mediatico. Forse perché non idonea a fomentare le polemiche di cui sopra.
Caso Orlandi, tante ragazze scomparse nel mese in cui sparì Emanuela: riemerge una pista del 1983