Il 159esimo incontro della rubrica “Dialoghi, la domenica con un libro” è stato dedicato alla presentazione del libro “Senza intellettuali. Politica e cultura in Italia negli ultimi trent’anni” (Edizioni Laterza) di Giorgio Caravale (storico, Università Roma Tre). L’autore si è confrontato con Michele Fina e con la senatrice del Partito Democratico Cecilia D’Elia.
Il testo verrà presentato il 4 maggio prossimo proprio in Senato. Fina l’ha definito “anche la storia di un divorzio, negli anni questi due mondi si sono un po’ separati, a danno di entrambi. L’idea che mi sono fatto è che la definizione dell’intellettuale è diventata molto ampia e che per i politici è diventato indispensabile parlare con due categorie di questi: i sondaggisti, anche per surroga rispetto al ruolo svolto in passato dai partiti di massa, e dall’altro coloro che sanno adattare i pensieri politici ai tempi brevi, utili alla televisione, che hanno finito per orientare i messaggi. I leader politici del passato erano simili a professori universitari, loro stessi si facevano carico di far parte della categoria degli intellettuali. Si vede perciò come un primo enorme cambiamento sia nel linguaggio”.
D’Elia del libro ha detto che “tratta un argomento fondamentale soprattutto in questo momento. Veniamo da una discussione in Senato sul senso del 25 aprile che dimostra l’importanza della presenza degli intellettuali e degli storici nel dibattito politico. Caravale ricostruisce questo rapporto a partire dalla crisi della Repubblica dei partiti, offre uno sguardo che fornisce elementi di discussione, ci aiuta tra l’altro a capire come è cambiata quella dimensione della discussione pubblica. Il tema come politici ci riguarda molto da vicino. Rimangono le culture politiche, si possono mischiare e rielaborare: il tema è la capacità di offrire una lettura moderna alle contraddizioni, offrire una visione, per questo è essenziale il confronto con gli intellettuali. E’ fondamentale capire chi sono oggi. Le loro figure e quelle dei politici si sono molto individualizzate, come è raccontato nel libro”.
Caravale ha detto di registrare “alcuni segnali che la stagione del lungo divorzio tra politica e intellettuali possa considerarsi conclusa. Questa distanza è anche un’occasione per riformulare questo rapporto su basi diverse ma è importante capire come è maturato l’allontanamento.
E’ l’obiettivo del libro. Il trentennio di cui parlo coincide con la fase post – Tangentopoli, ma le origini di questo fenomeno di logoramento ci sono già dagli anni Settanta. La distanza tra politica e intellettuali è oggi una realtà. Il ruolo dell’intellettuale nella società è molto cambiato, un tempo era il più autorevole rappresentante della società civile ed era perciò molto ascoltato dalla politica, oggi a tratti è persino dileggiato: la sua mediatizzazione ha di certo molto cambiato il suo ruolo nella società.
Nella maggior parte dei casi gli intellettuali si sono ripiegati su loro stessi. La politica di oggi dal canto suo fa molto più fatica a immaginare una visione di lungo periodo, per molte ragioni, e tende a proiettarsi sul presente. Queste tendenze parallele hanno contribuito all’allontanamento.
Gli ultimi trent’anni sono stati caratterizzati da una crescente individualizzazione degli intellettuali, una tendenza che si è riversata nei politici, in realtà le due figure hanno bisogno l’una dell’altra per tornare a pensarsi collettivamente. Si è perso il rispetto reciproco, dei rispettivi linguaggi e delle rispettive autonomie, un’evenienza che in modi diversi deriva dal discredito che si è abbattuto su ciascuno dei due mondi. Si è persa la centralità della storia nella politica, ma questa si deve nutrire di quella, vanno superati sia l’atteggiamento predatorio e manipolatorio, quello degli ultimi giorni di La Russa eMeloni, sia quello che considera il passato una sorta di ingombro”.