Abruzzo. La morte di Andrea Papi, aggredito dall’orsa JJ4, ha riacceso le polemiche sul progetto “life ursus” del Trentino, secondo alcuni fallimentare rispetto alla gestione degli orsi che avviene in Abruzzo. Ma dati alla mano la realtà sembrerebbe invece dimostrare l’opposto. Vediamo perché.
Negli ultimi cinquant’anni le zone protette in Abruzzo sono più che raddoppiate, eppure gli orsi sono diminuiti. Nel 1969 sopravvivevano circa una sessantina di orsi marsicani. Nel 2015, secondo le stime fornite dall’ente autonomo parco nazionale d’Abruzzo, ve ne sono rimasti circa una cinquantina. A parte una piccola parentesi del 2001, in cui secondo stime di massima si era arrivati a quasi cento esemplari, in definitiva la popolazione ursina non ha registrato crescite, ma anzi è persino diminuita, nonostante gli sforzi sia finanziari che umani compiuti negli ultimi decenni, e nonostante il territorio del parco nello stesso periodo sia più che raddoppiato, se si conta anche l’area attigua e il divieto di caccia in tutta la zona di protezione esterna.
Numeri impietosi se confrontati con quelli del Trentino, che con il progetto Life Ursus nel 1996 reintrodusse 9 orsi con l’intenzione di ricreare una popolazione di 40-50 esemplari nel giro di 20-40 anni, e che oggi in soli 27 anni ha raggiunto circa 100 orsi, quasi il doppio di quelli presenti in Abruzzo nonostante l’estensione dei due parchi sia molto simile.
Pertanto se l’obiettivo dei due parchi è quello di conservare l’orso, di certo il Trentino ha fatto molto meglio dell’Abruzzo negli ultimi anni. Anche perché se nei boschi del Trentino è l’uomo ad essere a rischio, in Abruzzo sono gli orsi, che sempre più negli ultimi anni stanno perdendo la vita per cause banali ed evitabili. Ricordiamo che sulla stessa strada dove a gennaio di quest’anno è morto Juan Carrito, tra il 2017 e il 2019 erano già morti 2 orsi e altri 2 erano stati investiti, fortunatamente senza conseguenze. Nel 2018 un’orsa e i suoi 2 cuccioli sono annegati in una vasca-abbeveratoio artificiale nel territorio di Villavallelonga, la stessa vasca dove solo sei anni prima erano morti altri 2 orsi. In definitiva in Abruzzo negli ultimi anni ha perso la vita tra il 10 e il 15% della popolazione ursina, per cause che potevano e dovevano essere evitate, e che non possono assolutamente farci definire vincente il “modello Abruzzo” nella gestione e conservazione dei plantigradi.
L’unica fortuna del “modello Abruzzo” è l’aver ereditato un inestimabile patrimonio culturale tramandatoci dai nostri antenati, composto da pastori e da tanta gente laboriosa abituata a convivere con l’orso e tutti gli altri animali selvatici. L’orso marsicano è diverso da quello sloveno reintrodotto nel Trentino, in primis per l’aggressività, infatti in più di cento anni dalla fondazione del Parco Nazionale d’Abruzzo non è mai stato documentato un attacco dell’orso nei confronti dell’uomo. Ma questa caratteristica non è solo merito del DNA dell’orso abruzzese, ma dalla convivenza secolare che in Abruzzo c’è sempre stata tra uomo e orso, fondata su un rapporto di diffidenza, timore e un sacro rispetto reciproco. Se l’orso si avvicinava troppo al gregge i pastori lo allontanavano, anche sparandogli contro con cartucce che si usavano per la caccia agli uccelli, che non mettono in pericolo di vita l’orso ma gli facevano capire che era meglio girasse al largo dai posti dove viveva l’uomo. Inoltre l’orso in passato poteva contare su tutto un territorio rurale fatto di allevamenti, alberi da frutto e vigne, che gli garantiva un sostentamento naturale e genuino. Ma oggi queste attività rurali non solo non sono più portate avanti da nessuno, ma in molte località del Parco sono persino vietate. E così l’orso negli ultimi venti anni si è avvicinato sempre più ai paesi, dove sempre più spesso si ridotto a mendicare gli avanzi degli uomini nei cassonetti. Come se non bastasse a rompere definitivamente questo equilibrio c’è stato l’animalismo della domenica santificato sul sacro palcoscenico dei social. Ecco quindi che tutti si sentono in dovere di avvicinarsi all’orso e filmarlo, inconsapevoli del fatto che dargli la caccia con un cellulare o con i fari dell’auto sia pericoloso al pari di un fucile, perché in questo modo l’orso sta definitivamente perdendo timore nei confronti della specie più pericolosa del pianeta, l’uomo.
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