Roma. Domani, martedì, si terrà in Vaticano l’incontro tra Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, la giovane cittadina vaticana scomparsa a Roma il 22 giugno 1983 e Alessandro Diddi, il promotore di Giustizia che, Oltretevere, ha riavviato le indagini sulla vicenda che, com’è noto, resta ancora avvolta nel mistero. Nei giorni scorsi, Pietro ha preannunciato che, nell’occasione, produrrà alcuni documenti forse utili ai fini della prosecuzione dell’inchiesta. Tra questi, delle carte relative a un possibile soggiorno di Emanuela in Inghilterra, dopo il rapimento – di cui, sottolinea l’avvocato Laura Sgrò, legale della famiglia Orlandi – è ancora da valutare l’attendibilità, e la trascrizione di uno scambio di messaggi su una chat, risalenti ai primi anni del pontificato di Bergoglio, in cui si fa riferimento al caso Orlandi: uno degli interlocutori, si legge sugli organi di stampa, sarebbe stato l’arciprete emerito della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore.
Il presunto dossier vaticano su Emanuela
In attesa di conoscere gli esiti del colloquio di domani, tornano alla ribalta quesiti non ancora risolti. In particolare, sulla possibile esistenza, in Vaticano, di un dossier sulla giovane scomparsa. Recentemente, nel libro Nient’altro che le verità, padre Georg Gänswein, già segretario particolare di Joseph Ratzinger, riferisce: “Mi fu garantito che era stato fatto quanto possibile per aiutare la famiglia Orlandi e di tutte queste informazioni feci dovuta comunicazione a papa Benedetto.” Gänswein cita anche l’ex capo della Gendarmeria, riportando che “pure Giani consultò la documentazione dell’epoca e concluse che non c’era stata alcuna notizia tenuta nascosta alla magistratura italiana e che nel frattempo non erano maturate ulteriori ipotesi riguardo alle quali potere approfondire le indagini in Vaticano.”
Osserva, Padre Georg, che “le diverse e contrastanti piste – dalla connessione con l’attentato a Giovanni Paolo II al tentativo di avviare uno scambio con Ali Agca, dagli scontri fra servizi segreti dell’Est e dell’Ovest alle vicende criminali della banda della Magliana, dalle questioni connesse allo Ior del tempo di Marcinkus ai presunti finanziamenti al movimento polacco Solidarnosc – hanno avuto ciascuna indizi a favore e contro, senza che fossero mai raggiunte definitive prove.”
A proposito delle dichiarazioni dell’ex segretario di Benedetto XVI relative al presunto dossier su Emanuela, Pietro Orlandi ha recentemente dichiarato: “Subito dopo la morte di Ratzinger, Gänswein ha parlato di Emanuela e del ‘famoso dossier’, dicendo che, in realtà, quel fascicolo non esiste, quando, in precedenza, Paolo Gabriele [il maggiordomo di Ratzinger coinvolto nella vicenda Vatileaks, ndr] mi ha confermato di averlo visto proprio sulla sua scrivania ed era rammaricato per non averlo fotocopiato. Inoltre, sempre Gänswein, in passato, ha confermato al mio legale che quel fascicolo esiste e si trova presso la segreteria di Stato.”
“Ratzinger ha insistito per approfondire le indagini”
In ogni caso, negli ultimi tempi, sembra essere emerso un dato significativo: Joseph Ratzinger non si sarebbe limitato a prendere in esame la documentazione già esistente sul caso, ma avrebbe dato impulso a ulteriori accertamenti in merito. È quanto risulta dalle dichiarazioni recentemente rilasciate da monsignor Valentino Miserachs, il direttore della cappella musicale Santa Maria Maggiore ed ex insegnante di canto corale di Emanuela. All’epoca non fu ascoltato dalla magistratura, a differenza di suor Dolores, la direttrice della scuola frequentata dalla giovane, oggi non più in vita, secondo cui il giorno della scomparsa, il 22 giugno, Emanuela avrebbe chiesto di uscire prima perché aveva un appuntamento. Miserachs ritiene più probabile che, quel pomeriggio, la sua lezione fosse terminata prima, perché iniziata in anticipo, vista l’imminenza di un concerto. Sappiamo che, di solito, la lezione di flauto cui Emanuela partecipava, si svolgeva dalle 17 alle 18 e quella di canto corale dalle 18 alle 19.
Comunque, Miserachs riferisce oggi di essere stato sentito solo molti anni dopo dalla Gendarmeria vaticana. Il colloquio – che il prelato definisce “solenne” – sarebbe avvenuto venerdì 4 maggio 2012, alle ore 17. Intervistato da Quarto grado, riferisce che allora papa Ratzinger, ancora regnante, aveva insistito per “approfondire le indagini” sulla vicenda. L’intervistatrice chiede conferma in tal senso: “Quindi Benedetto XVI ha fatto delle indagini [sul caso]?”, insiste. Monsignor Miserachs fa cenni d’assenso. All’incontro erano presenti il capo della Gendarmeria e l’assessore per gli affari generali della Segreteria di Stato, Peter Bryan Wells, che rappresentava “la parte ecclesiastica” del Vaticano, “da una parte la Gendarmeria, dall’altra la Segreteria di Stato”. Secondo Miserachs, Wells “non ha aperto bocca, stava lì quasi a testimone, le domande le conduceva Giani.” L’intervistatrice chiede quindi al monsignore se ritiene che la Gendarmeria abbia all’epoca intervistato altre persone. “Credo che non sarò mica stato io il solo ad essere convocato”, conclude Miserachs.
Il colloquio in questione sarebbe avvenuto, abbiamo detto, il 4 maggio 2012. Dieci giorni più tardi, il corpo di Enrico De Pedis, criminale della Banda della Magliana noto come “Renatino”, sarebbe stato ritrovato sepolto nella basilica di Sant’Apollinare. All’epoca, infatti, una telefonata anonima aveva fatto riferimento alla tomba dell’uomo, prospettando l’eventualità che Emanuela fosse stata seppellita con il boss. Eventualità esclusa, nel corso della stessa puntata di Quarto grado, dall’addetto alle sepolture Franco De Gese, detto “Franchino il becchino”. Questi aveva spostato i resti mortali di De Pedis dal cimitero del Verano a Sant’Apollinare, aggiungendo il rivestimento di piombo richiesto per la sepoltura dalla legge vaticana. Emanuela lì “non ci sarebbe potuta entrare, il sarcofago era da un posto”, spiega De Gese, precisando di aver provveduto personalmente a svestire e rivestire De Pedis per l’inumazione. Un altro vicolo cieco, in una vicenda che abbonda di false piste. Attendiamo l’esito del colloquio di domani tra Pietro Orlandi e la Gendarmeria vaticana.
“Accertare la verità senza riserve”
“Sul caso Orlandi Papa Francesco e il Segretario di Stato, il Cardinale Pietro Parolin, vogliono che emerga la verità senza riserve.” E’ quanto dichiara, in un’intervista pubblicata oggi sul Corriere della Sera, il Promotore di Giustizia della Città del Vaticano, il professor Alessandro Diddi, con cui il fratello di Emanuela e il suo legale si accingono a incontrarsi. Classe ‘65, affermato penalista e docente di procedura penale, professionista di alto livello – si legge sul quotidiano di via Solferino – Diddi si è occupato di vicende delicatissime e certo ha le qualità e i mezzi per cercare a fondo la verità. “Ci sono indubbiamente indagini da svolgere e aspetti da approfondire, anche dando seguito alle istanze più volte formulate dalla famiglia Orlandi”, aggiunge. “Tuttavia, il profilo che più merita di essere sottolineato è che, sia il Santo Padre che il Cardinale Pietro Parolin, mi hanno concesso massima libertà d’azione per indagare ad ampio raggio senza condizionamenti di sorta e con il fermo invito a non tacere nulla. Ho il mandato di accertare qualunque aspetto in uno spirito di franchezza, di ‘parresia’ evangelica e tale approccio è ciò che più conta. Questo è l’atteggiamento con il quale stiamo affrontando il caso Orlandi.”
Scomparsa di Emanuela Orlandi, il fratello Pietro convocato in Vaticano