Teramo. Il Rotary Club Teramo, presieduto da Giammario Cauti, nel corso dell’ultima conviviale del 29 marzo 2023, svoltasi presso il Ristorante Martin Pescatore di Giulianova, ha avuto il piacere di ospitare il giornalista Enrico Di Carlo, bibliotecario dell’Università degli Studi di Teramo e membro dell’Associazione di Storia Patria della Regione Abruzzi.
I suoi impegni di studio e di lavoro si concentrano principalmente sulla cultura abruzzese dell’Ottocento e del Novecento, e soprattutto sul poeta italiano Gabriele d’Annunzio.
Il relatore, alla presenza del Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Teramo Dino Mastrocola, ha intrattenuto gli ospiti presentando il suo libro “Il brindisi del poeta astemio” della Verdone Edizioni (scritto a quattro mani con Luca Bonacini, con postfazione di Andrea Grignaffini, dr) in cui, a 160 anni dalla nascita di Gabriele d’Annunzio, viene svelato un lato inedito del Poeta Vate.
Il titolo dell’opera può sembrare contraddittorio, ma in realtà è d’Annunzio stesso che è contraddittorio perché mostra di sé due immagini: una pubblica e una privata. Il d’Annunzio pubblico è quello che ha fatto della sua vita un’opera d’arte che si manifesta in tutti gli aspetti anche quelli che potrebbero sembrare più marginali, quali il cibo e il vino. Lui diceva sempre di mangiare poco e si sottoponeva a lunghi digiuni, che potevano durare anche due-tre giorni, ma poi riprendeva a mangiare disordinatamente e molto “abruzzese” perché per lui il cibo abruzzese aveva un significato molto importante, ossia il cibo rappresentava quel cordone ombelicale con la sua terra, la sua casa e la sua mamma. Mangiava tante uova, il salamino pepato della Maiella, il cacio pecorino, il brodetto di pesce, i maccheroni alla chitarra con le vongole, ecc. Nel 1912, quando era in Francia, ricevette dall’amico avvocato e deputato Pasquale Masciantonio una lettera molto importante di contenuto politico che terminava con una richiesta: Filippo De Cecco (fondatore dell’omonimo pastificio) chiedeva a d’Annunzio di sponsorizzargli con dei versi la pasta in cambio della fornitura di pasta, probabilmente per tutta la vita. Però il Vate non rispose alla lettera e, quindi, nemmeno alla richiesta di De Cecco.
Nel 1897, in piena campagna elettorale in cui verrà eletto deputato, d’Annunzio era nel Chietino e lì c’era un grande elettore che organizzò un pranzo preelettorale a cui fu invitato anche il Vate, quest’ultimo a sera ormai inoltrata era ancora lì in quanto tutti gli ospiti dovevano mangiare tutto perché non farlo avrebbe arrecato una grave offesa al padrone di casa. Questo il menù secondo un’antica tradizione: tagliolini rotondi cotti in brodo grassissimo di gallina, maccheroni alla chitarra, carne di bue e di agnello lessata, vitello e agnello arrosto, fritti di pesce e di cervelli, schienali, fegato, pizze, taralli e polli, il tutto innaffiato da buon vino e da qualche micidiale decotto. D’Annunzio si trovò in difficoltà, non poteva andare via, non poteva nascondere il cibo come avrebbe voluto fare, ma ad un certo punto svenne (non si sa se volutamente o per malore, ndr) e quello svenimento lo salvò da conseguenze molto più gravi.
Anche per quanto riguarda il vino c’era un d’Annunzio pubblico e un d’Annunzio privato: quello pubblico era colui che si permetteva di scrivere al giornalista tedesco Hans Barth (che aveva voluto assolutamente che il Vate scrivesse la prefazione del suo libro Osteria, che si può ritenere la prima guida enogastronomica italiana, ndr) <<tu sei un beone>> e diceva di sé non di essere astemio, bensì di essere <<acquatile>> e che <<non si può essere un buon gastronomo se si è un buon beone>>. Nella prefazione della seconda edizione italiana del suo libro Barth non si rivolge direttamente a d’Annunzio, ma a quagli uomini che fanno così attenzione a quello che mangiano e bevono e domanda loro: <<perché voi fate tutto questo? Forse lo fate per vivere dieci anni più di noi?>> Mai parole furono così profetiche: Barth in quel momento non poteva mai immaginare che d’Annunzio realmente sarebbe vissuto dieci anni più di lui.
Il D’Annunzio privato, invece, non fu astemio come invece volle sempre far credere pur di rimanere coerente alla sua immagine di esteta (per d’Annunzio l’esteta è colui che cerca di vivere la propria vita come un’opera d’arte, ndr), ma un raffinato conoscitore di vini e di liquori. Bevitore di acqua purissima in banchetti ufficiali, mostrava familiarità con vini e champagne in occasioni mondane e private, magari in compagnia delle sue amanti. I vini italiani raccontati (e forse bevuti, ndr) da d’Annunzio appartengono a diverse regioni, sicuramente il meglio della produzione enologica dell’epoca: per citarne alcuni, il Barolo, il Moscato, il Capri Bianco, il Chianti, il Soave e, ovviamente, il Montepulciano d’Abruzzo.
Nel volume Il brindisi del Poeta astemio per la prima volta si tenta uno studio dei vini conservati nella cantina del Vittoriale e raccolti in una lista, su indicazione di d’Annunzio, dalla sua compagna Luisa Baccara. Si tratta di 295 bottiglie pregiate, che la dicono lunga sulla raffinatezza del palato di colui che si era sempre dichiarato astemio.
La conviviale del Rotary Club Teramo ha previsto un menù di tipo d’annunziano e naturalmente si è conclusa con la degustazione del Parrozzo.