L’Aquila. Ci sono state più nascite e meno suicidi, le donne adulte (rispetto agli uomini) hanno abusato molto più di alcol, i giovani anche di cannabis e tabacco, sono aumentate malattie cardiovascolari e cefalee e, nell’immediato, i malati di Parkinson hanno avuto un lieve miglioramento delle funzioni motorie. Questa, in estrema sintesi, ‘la foto’ che emerge da una lunga e complessa ricerca, condotta sulla popolazione di L’Aquila nei 2 anni successivi al sisma del 2009. Un lavoro notevole, che comprende più di 30 articoli, frutto di un’analisi che porta la firma del prof. Alessandro Rossi, professore ordinario di psichiatria dell’università di L’Aquila e direttore del servizio psichiatria dell’ospedale San Salvatore, del suo gruppo di ricerca e di Paolo Stratta, psichiatra del dipartimento salute mentale. Nel prossimo numero speciale della rivista scientifica ‘Epidemiologia & Prevenzione’ verrà pubblicata un’ampia rassegna di tutti gli studi condotti a L’Aquila nel post-sisma. Studi che si muovono su un terreno molto difficile: in alcuni casi forniscono risposte e in altri le ipotizzano o le suggeriscono, cercando di far luce su conclusioni in parte sorprendenti. L’aumento delle nascite, per esempio, si spiegherebbe parzialmente con quello che gli autori dello studio chiamano ‘capitale sociale’. In parole semplici, un fenomeno di solidarietà collettiva (tutti aiutano tutti) innescato dal terremoto. L’atto della procreazione, in questo contesto, avrebbe inoltre avuto la valenza di un’auto-guarigione dopo un’esperienza devastante. E’ anche verosimile un cambiamento delle priorità e dei valori di fronte ad un evento che ha messo in serio pericolo la vita. Il numero di suicidi, nei 2 anni successivi al sisma, è stato inferiore rispetto al periodo antecedente all’evento tellurico. Non è del resto la prima volta, osservano gli studiosi, che ciò si verifica durante eventi catastrofici e guerre; anche la riduzione dei suicidi potrebbe in parte spiegarsi col descritto fenomeno della solidarietà reciproca di massa che si mette in moto dopo eventi devastanti. Il disturbo post traumatico da stress ha avuto le maggiori ripercussioni sulla popolazione ‘normale’ (oltre 37%) rispetto a quella che aveva già problemi psichici. La ragione? I soggetti con malattie psichiche sarebbero stati più protetti dal sistema di cure in atto e probabilmente da un venir meno, in una situazione di emergenza, della loro condizione di emarginati e ‘diversi’ sul piano sociale. Più vulnerabili le persone con oltre 50 anni, tendenzialmente più il gentil sesso. Nelle donne adulte si è registrato un abuso di alcol in misura doppia rispetto alla popolazione maschile. Per quanto riguarda i giovani, in un campione di 1.078 soggetti (età 16-30 anni, di cui il 40% già con sofferenza mentale) è stato rilevato un abuso di alcol, cannabis e tabacco. Si è inoltre osservato che la religione ha aiutato ad affrontare meglio il post trauma. Gli inattesi miglioramenti, nelle funzioni motorie dei malati di Parkinson, hanno probabilmente avuto la funzione di ‘fuga’ da situazioni pericolose. Il prof. Rossi, nel rimarcare la difficoltà della lunga e articolata ricerca, commenta: “Benché questi studi possano avere una certa rilevanza, presentano alcuni limiti dovuti alle precarie condizioni in cui si sono trovati gli operatori della sanità ed i ricercatori aquilani. I professionisti della salute mentale sono di solito poco coinvolti nei processi di triage immediatamente dopo un disastro naturale per l’ovvia precedenza delle cure fisiche e mediche. Inoltre mancano evidenze nel lungo termine cosicché, anche se sono passati sei anni dell’evento, i riscontri sono limitati a due anni o poco più.”