Pescara. “Questo è per te e per gli infami come te”. Sono queste le parole che hanno tradito il killer dell’architetto Walter Albi, 66 anni, pronunciate mentre stava per esplodere altri colpi di pistola contro il suo ex amico Luca Cavallito, 49 anni, che resterà in ospedale tra la vita e la morte per settimane.
Nel pomeriggio del 1° agosto dello scorso anno, nel bar del Parco andò in scena l’agguato mortale a opera di un pescarese coperto da un casco integrale, che avrebbe operato su mandato della ’ndrangheta. Il presunto killer è Cosimo Nobile, 53 anni, mentre il mandante è Natale Ursino, 54 anni, nato a Locri, ma residente a Teramo, dove lavora in un centro estetico, fermato dalla polizia in un ristorante a Fiumicino, dopo un lavoro certosino sui suoi cellulari criptati, che cambiava in continuazione.
Entrambi sono stati arrestati nella notte tra domenica e lunedì scorsi dagli uomini della squadra mobile di Pescara per omicidio e tentato omicidio. Nella giornata di oggi sono previsti gli interrogatori, Nobile a Pescara e Ursino per rogatoria.
Per arrivare a questi arresti, sono stati fondamentali tre passaggi, così come enunciati da Bellelli. Il primo riguarda le dichiarazioni di Cavallito, che da subito aveva individuato il suo amico Nobile nell’uomo che aveva sparato, proprio da quella frase pronunciata contro di lui. Cavallito lo aveva fatto quando ancora non poteva parlare, facendosi capire a gesti, e lo aveva confermato senza ombra di dubbio nel corso dei diversi riconoscimenti vocali.
Da qui, poi, è iniziata la ricostruzione “con metodi investigativi tradizionali”, come spiega Bellelli, “raccolta dati, dichiarazioni di testi, analisi dei telefoni trovati al bar, chat tra Albi, Cavallito e Ursino, poi sottoposti al vaglio del pool”. In seguito è avvenuto il ritrovamento dei reperti in un’area molto impervia nella zona di Fontanelle: un casco, una scarpa, il castello di una pistola, la stessa portata via a una guardia giurata durante la rapina al Centro agroalimentare di Cepagatti di qualche settimana prima. E naturalmente il collegamento con quella rapina, per la quale vengono arrestati in tre, fra cui Renato Mancini che non solo confessa la rapina e individua i suoi complici fra cui Nobile, ma dice anche che Nobile tenne quella pistola per sé, che è dello stesso calibro di quella usata per uccidere Walter Albi.
Albi credeva di poter fare soldi facili senza conoscere davvero chi fosse il suo interlocutore, ed è stato questo il movente. È Cavallito che fa conoscere Ursino ad Albi, il quale, senza farsi troppi scrupoli, gli chiede 9.000 euro, che gli vengono subito dati. È l’anticipo per una “missione” che Albi avrebbe dovuto compiere per conto di Ursino: un viaggio transoceanico con la barca di Albi in Sudamerica o Australia. Per la Procura, un viaggio che poteva servire per trasferire un carico di cocaina o per trasportare un latitante eccellente.
Sta di fatto che Ursino si è accorto che Albi era inaffidabile e con lui Cavallito che ne era stato il garante. Così ha deciso di organizzare quell’incontro al bar dove avviene l’agguato, armando la mano di Nobile che, come sostiene la procura, “non poteva dirgli di no”, prorpio per i rapporti che c’erano tra loro. Ma quell’agguato era già saltato qualche giorno prima, il 27 luglio, quando Cavallito trovò il bar chiuso per Covid e propose di spostarsi in un altro locale.