Avezzano. “Nella sua vita mio padre si è spaccato la schiena per crescere tre figli. Ci ha fatto studiare, ci ha mandato all’Università. Faceva 50 lavori diversi per mettere soldi da parte e per garantirci un futuro. È stata una persona per bene, onesta. È mio padre quindi che ha meno diritto a cure oncologiche in confronto a una persona che ha sciolto un bambino nell’acido? Io chiamo da due giorni ininterrottamente l’ospedale dell’Aquila per avere informazioni sul prossimo trattamento che sarà solo tra qualche giorno. Per organizzarmi, per sapere cosa devo portare. Ma niente, nessuno mi dà informazioni. Impossibile parlare con i medici, chi mi risponde mi dice che è un “volontario”. Io ora voglio che l’opinione pubblica questo lo sappia e che la gente cominci a riflettere. E che non si dica che siamo di fronte a un reparto di eccellenza. Eccellenza per chi? Per il boss mafioso forse ma non per i cittadini normali che hanno pagato le tasse per tutta la vita. Con dignità”.
Raffaella, (nome di fantasia), è la figlia di un ottantenne marsicano malato oncologico. La malattia del padre l’ha scoperta solo qualche mese fa. Mentre parla al telefono e racconta la sua storia è un fiume in piena. Si dice “incredula” per quanto legge in questi giorni sui giornali, per quanto ascolta alla tv, ai tg, negli innumerevoli servizi dedicati a Matteo Messina Denaro, latitante per 30 anni, arrestato a Palermo, a seguito di un blitz dei Ros dei carabinieri e poi trasferito all’Aquila, nel carcere di massima sicurezza dove è possibile scontare la pena con il regime del 41bis.
“Questa mattina ho letto le dichiarazioni del professore Mutti sui giornali”, dice Raffaella, “parlava di Messina Denaro e diceva ‘è un paziente interessato a conoscere le sue condizioni, cosa si può fare per lui e quali sono i risultati ottenibili con la terapia’. Io mi chiedo”, continua, “ma di cosa stiamo parlando? Ma ci rendiamo conto? Quello è un delinquente, è una persona che è sfuggita alla giustizia per 30 anni, che ha vissuto facendo crimini. È un boss della mafia”.
Luciano Mutti è il dirigente del reparto di Oncologia all’Aquila che ha visitato in carcere il boss mafioso siciliano.
“Io continuo a chiamare ininterrottamente il numero che all’Aquila mi hanno scritto a penna sulla cartella clinica di mio padre dopo le dimissioni”, va avanti, “io potrei mai parlare con Mutti della situazione di mio padre? No. Io non riesco a parlare né con lui né con altri medici. Da due giorni sono irreperibili. I cosiddetti ‘volontari’ che rispondono continuano a dirmi che mi richiameranno e che mi daranno informazioni. Cosa che da giorni immancabilmente non accade”.
“Io che la sanità abruzzese non fosse sana l’ho sempre saputo. Ma fino a quando poi non si ha a che fare con la malattia non lo si capisce fino in fondo di cosa si parla”, denuncia la donna, “perché non ci si ritrova a fare i conti solo con la malattia che fa il suo inesorabile corso ma i famigliari si trovano di fronte a reparti carenti di tutto. Di posti, di personale, di tutto. Si fa quel che si può, ne sono certa ma davanti alle tantissime richieste i pazienti si lasciano poi al loro destino. Si abbandonano. Ad Avezzano oncologia non ha posti. I malati, gli anziani, vengono messi in altri reparti per le cure, le terapie. Quelli più vecchi vengono rimandati a casa. Mi è venuto anche il dubbio che durante la permanenza di mio padre in ospedale non gli fossero state somministrate le sue terapie”.
“Ad oncologia all’Aquila ci sono sei posti. Sei. E leggo che è un reparto di eccellenza e che potrebbe essere stato questo il motivo per cui Messina Denaro sia stato trasferito in Abruzzo. Quindi noi abruzzesi garantiamo cure oncologiche di eccellenza a una persona che ha ucciso senza pietà. La portano dalla Sicilia all’Aquila. E noi tutti qui zitti. Mutti per mio padre sarebbe indisponibile. Non ti dà una visita con lui nemmeno se ti sbatti a terra. Invece per visitare un criminale si rende disponibile? Per far ricoverare mio padre all’Aquila mentre aveva un infarto in corso io ho dovuto scomodare la Giunta regionale”.
E così, mentre i malati oncologici marsicani e aquilani fanno file estenuanti ogni giorno per sottoporsi alle cure della sanità pubblica, Matteo Messina Denaro ultimo dei boss stragisti, uno dei capi mafia che trent’anni fa organizzarono una serie di attentati, uccidendo fra gli altri i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, viene visitato direttamente dal dirigente del reparto. Così come vuole di certo non il primario stesso ma un ufficiale protocollo tra autorità, esattamente come ieri mattina spiegava il garante dei detenuti in Abruzzo, Gianmarco Cifaldi.
Ogni giorno ad Avezzano i malati oncologici vengono fatti attendere in un corridoio di passaggio, al di fuori del reparto, al terzo piano. Tutti i giorni è così.
In una delle attese su quel corridoio il papà di Raffaella settimane fa ebbe un crollo. Secondo la figlia nessun medico era quel giorno disponibile e da lì è poi riuscita a farlo a trasferire all’Aquila.
Il video registrato all’ospedale di Avezzano
“Voglio che se ne parli”, dice Raffaella (nome di fantasia), “lo devo a mio padre, a quei sacrifici che ha fatto per noi, per tutta la vita. Una vita intera da persona per bene, dedito alla sua famiglia, senza mai fare del male a nessuno. Lo devo a lui, ora che è malato e che il sistema sanitario lo mette al secondo posto rispetto a una priorità che porta il nome di un boss mafioso, per cui l’Abruzzo si sta mobilitando”.