L’Aquila. Tutti ricordano il G8 che, a seguito del sisma del 2009, fu spostato dall’isola sarda al capoluogo abruzzese. Ma se scaviamo nella storia dell’Aquila, scopriamo che c’è stato un altro precedente illustre, dove la città si prestò a fare da scacchiere per un delicato gioco di equilibri d’interesse mondiale.
Il 27 agosto del 1943 Mussolini fu esiliato sull’isola della Maddalena ma poi, per motivi di sicurezza, venne trasferito in segreto nella prigione più alta e sicura del mondo, sul Gran Sasso, a quasi tremila metri di altitudine. Uno degli aspetti più paradossali di tutta la vicenda è che fu Mussolini stesso a far costruire quello che poi divenne il suo rifugio/carcere. Quella sul Gran Sasso era stata costruita per essere la stazione sciistica più alta d’Europa, fiore all’occhiello del Regime Fascista. Persino l’hotel dove fu imprigionato aveva la pianta a forma di D poiché da lì a breve, secondo il progetto del Regime, sarebbero dovuti sorgere altri due edifici: uno a forma di U e uno di X affinché dall’alto, sul Gran Sasso, fosse possibile leggere la scritta DUX.
Hitler, oppresso giorno e notte dall’angoscia per ciò che era successo al fedele alleato, nel suo quartier generale denominato in codice la “tana del lupo”, pianificò nel dettaglio l’operazione quercia, un’azione militare senza precedenti. L’Unternehmen Eiche, che può essere definita la prima vera operazione di esfiltrazione della storia militare moderna, fu portata a termine il 12 settembre del 1943 dai paracadutisti tedeschi del Lehrbataillon Fallschirmjägerdivision e da alcune SS del Sicherheitsdienst. Mussolini sul Gran Sasso era scortato da quaranta carabinieri e altrettanti poliziotti con due mitragliatrici pesanti e due fucili mitragliatori. Presto sarebbe arrivata anche un’unita cinofila con sei cani da guardia ma i tedeschi, a tempo di record, organizzarono e portarono a termine la missione voluta dal Führer in persona. Dieci alianti, che portavano una decina di militari tedeschi ciascuno, atterrarono in mezzo a mille difficoltà sulle ripide pareti del Gran Sasso. A causa del limitato spazio a disposizione per l’atterraggio, le ruote degli alianti furono ricoperte con rotoli di filo spinato, utili a creare un maggior attrito col suolo. Nel frattempo altri cento uomini salirono da terra attraverso la funivia e centosettanta rimasero di guardia alla stazione a terra. In appena mezz’ora i paracadutisti e alcuni uomini della divisione dei servizi segreti delle SS, liberarono il Duce e lo portarono a Pratica di Mare.
Gli italiani, colti di sorpresa dai tedeschi, non reagirono. Questo grazie anche all’idea semplice, ma geniale, di portare con sé Fernando Soleti, generale del Corpo degli agenti di polizia, preso ostaggio nei giorni precedenti. Fu lui, infatti, a intimare ai soldati italiani di non sparare. In tutta l’operazione si contarono solo due vittime, due militari che non si sottrassero al loro dovere: Pasqualino Vitocco, una guardia forestale che, poco prima di essere raggiunto da una raffica di mitragliatrice, aveva tentato invano di avvisare i carabinieri della presenza dei militari tedeschi e Giovanni Natale, il carabiniere di guardia nella stazione intermedia della funivia che, alla vista dei tedeschi, tentò un’ultima e disperata reazione.
La cosa che però colpisce di più di tutta l’affascinante vicenda è che Mussolini, quando vide arrivare gli aerei dal cielo, fosse convinto che si trattasse dei suoi sostenitori che finalmente erano andati a liberarlo. Ma quando il Duce realizzò che quelli che stavano per atterrare erano alianti tedeschi, cadde in una forte depressione che compromise anche la sua gioia della liberazione. Mussolini non riusciva a farsi una ragione al fatto che gli italiani, gli stessi che fino al giorno prima del suo arresto lo avevano venerato nelle piazze, al contrario dei tedeschi l’avevano completamente abbandonato al suo destino. Era incredulo davanti a tanta indifferenza con cui, nel giro di pochissime ore, gli italiani avevano già dimenticato il piccolo colpo di stato compiuto da Badoglio ai danni del Duce d’Italia.
“Racconti di fughe e liberazioni, drammatiche, romantiche, talvolta fantastiche, si possono trovare nella storia, ad ogni epoca e per ogni popolo, ma la mia fuga dalla prigione del Gran Sasso anche oggi appare come la più audace, la più romantica di tutte e, nello stesso tempo, la più moderna come metodo e stile”
Mussolini – Storia di un anno
@francescoproia
Autore del thriller “Il nido della follia”
ambientato nell’ospedale
psichiatrico dei Collemaggio