All’esterno i segni della città terremotata ci sono ancora tutti, solchi profondi incisi in un tessuto urbano su cui svettano gru come totem augurali. Eppure, entrando nella nuova sede del Museo Nazionale d’Abruzzo, il MUNDA dell’Aquila a Borgo Rivera, inaugurato il 19 dicembre scorso, si accede in un caleidoscopio intatto dove il linguaggio dell’arte restituisce, con calore, i percorsi del tempo. Sarà per questo che il diaframma fra lo sfascio esterno e l’eleganza delle Madonne medievali, collocate su sofisticate tecniche antisismiche, quasi stordisce per lo stupore. Una delicata percezione di bellezza che si apre a chi si incammina nelle sei sale e fa arrendere l’uomo davanti le raffinate opere, palpabile l’emozione nei 6311 visitatori in soli 12 giorni di apertura, traguardo clamoroso per una città ancora imbalsamata dal dolore. Hanno alzato lo sguardo, bambini e adulti, curiosato nei dettagli quasi a livello d’uomo, indicato con il braccio un particolare, provato una commozione pura ritrovando l’arte smarrita: il bagliore del Trittico di Beffi del primissimo Quattrocento, il naso lesionato per sempre, nella caduta, del Cristo di Penne del XIII secolo, l’arte fiamminga, la pervasiva presenza francescana nel territorio, le didascalie con il codice presto leggibile con smartphone, fissano la tessera di un puzzle che lentamente si va ricomponendo. Per questo nuovo museo, prossimo alle leggendarie 99 cannelle in questa città dell’Aquila, il MiBACT ha investito molte energie, risorse e grande dedizione. Nell’ultima fatidica settimana, con la guida di Lucia Arbace, direttore del Polo Museale dell’Abruzzo, il personale e le imprese coinvolte hanno operato oltre le retribuzioni ed i consueti orari di lavoro, per restituire al pubblico “l’altra lingua”, quella dell’arte, che possa plasmare, attraverso un percorso di conoscenza, il territorio, in un’osmosi che restituisca le energia che a loro volta la plasmarono. Il MUNDA ritrova così una propria collocazione nella memoria collettiva, protagonista assoluto di un prezioso recupero nella scacchiera di un tessuto urbano ancora in cerca di definizione, ma cha ha lo sguardo lungo, obliquo, riparatore verso il futuro e le nuove generazioni.