Parla l’uomo che nel 1985 sostenne di essersi salvato da un’aggressione del Mostro di Firenze. Luciano Cigolini, questo il suo nome, riferì all’epoca di essere scampato all’omicida un mese prima del delitto degli Scopeti. Fornì ai Carabinieri anche un identikit dell’aggressore, ma l’indagine non registrò utili sviluppi. In un’intervista a Cronaca vera, l’uomo rievoca la singolare e inquietante esperienza vissuta tanti anni fa.
Nell’estate del 1985, Cigolini, originario di Remedello di Sotto, in provincia di Brescia, era in Toscana, vicino a Scopeti. “Era l’11 agosto 1985”, racconta. “Dopo un viaggio lungo, tortuoso e ricco di imprevisti, con la mia ragazza dell’epoca arrivammo in val Pesa, nella villa di un mio amico di Brescia, per partecipare a una festa degli Hare Krishna, movimento a cui lui apparteneva, ma ero stanchissimo. Così lasciammo la casa e cercammo, tra la strada provinciale e il bosco, uno spiazzo per riposare un attimo. Lasciammo l’auto in località Scopeti, a bordo strada, e trovammo uno slargo, riparato dai cespugli per stenderci sopra una coperta e, finalmente, riposare.”
Ad un certo punto, la fidanzata dell’uomo lo svegliò, allarmata. Aveva sentito, disse, degli strani rumori lì vicino. “Mi alzai oltre il cespuglio”, rievoca Cigolini, “e vidi un uomo invasato, agitatissimo, in preda a un raptus correre, da una stradina sopraelevata rispetto a noi, verso la nostra automobile. Si fiondò su di essa, guardò dentro i finestrini, si sdraiò sul cofano, ripeto era invasato, devastato: noi, immobilizzati dal terrore, dietro il riparo fatto di arbusti, lo guardavamo spaventatissimi. Mi accorsi che in mano aveva un coltello dalla lama nera e sbavava dalla bocca.”
Il passaggio di una macchina, lungo la strada, indusse lo sconosciuto a calmarsi e ricomporsi. In breve, si allontanò dall’auto di Cigolini e raggiunse una vespa blu. “Lo vidi trafficare sotto la sella, nel vano portaoggetti. Scampato il pericolo, noi raggiungemmo in fretta e furia il nostro mezzo. Nel frattempo lui mise in moto la vespa e si mise in strada. Lo superammo e ricordo un particolare: il suo motociclo era tenuto benissimo e pulito, persino il parabrezza era immacolato, segno che probabilmente viveva nei paraggi.”
Cigolini fornisce, del soggetto misterioso, una descrizione accurata, escludendo una seppure minima somiglianza con Pietro Pacciani e con gli altri compagni di merende. “Era alto, aitante, atletico, ben messo fisicamente”, afferma. E aggiunge: “Aveva una faccia spigolosa, il naso aquilino. Era stempiato con i capelli tirati indietro che quasi non si vedevano. Sui cinquant’anni, con occhi spiritati e fuori dalle orbite. Era alto più di un metro e ottanta.”
Dopo qualche settimana, fatto ritorno in Lombardia e appreso del delitto dei francesi verificatosi proprio nella zona dell’aggressione, Cigolini riferì tutto ai Carabinieri.
La descrizione dell’aggressore sembrerebbe corrispondere a quella di uno sconosciuto osservato, da più di un testimone, a ridosso dei duplici omicidi del 1984: anche in quelle circostanze si era parlato di un uomo alto, robusto, stempiato e con i capelli molto corti. Uno sconosciuto che, il 29 luglio 1984, avrebbe pedinato Pia Rontini e Claudio Stefanacci poche ore prima che i due giovani venissero uccisi. Due settimane prima del delitto, lungo le rive della Sieve, a qualche decina di metri dal luogo in cui si sarebbe consumato il duplice omicidio, un soggetto corrispondente alla descrizione è stato visto intento a osservare alcune persone che prendevano il sole e pescavano. E, poco prima che Pia e Claudio morissero sotto i colpi della Beretta .22 del Mostro, nel bar in cui la ragazza lavorava, un uomo dalle medesime caratteristiche fisiche avrebbe attratto l’attenzione dei clienti per i modi sgradevoli con cui si rivolgeva alle giovani donne presenti. Si tratta della stessa persona? Ipotesi se non altro plausibile, che avrebbe forse meritato un approfondimento. Anche perché, a quanto riferito, il soggetto visto da Cigolini sarebbe stato alto più di un metro e ottanta. La statura che, nella corposa perizia elaborata dal criminologo Francesco De Fazio e dai suoi colleghi dell’Università di Modena tra il 1984 e il 1985, avrebbe appunto caratterizzato il Mostro di Firenze.
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