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Autonomia differenziata, l’allarme di Grimaldi: “Che ne sarà della sanità abruzzese?”

Luna Zuliani di Luna Zuliani
19 Settembre 2022
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L’Aquila. “In questa campagna elettorale non si sta affrontando con la dovuta attenzione il tema della riforma in itinere dell’autonomia differenziata: se le regioni più ricche si terranno quota parte dei soldi delle tasse dei cittadini del loro territorio, che ne sarà della sistema sanitario nazionale, e di quelle di regioni come l’Abruzzo che spendono più di quello che incassano? Rischiamo davvero una sanità di serie A e una di serie B, quando invece dovrebbe essere universalistica e garantita a tutti i cittadini italiani, a prescindere da dove sono residenti”. Un allarme e nello stesso tempo un quesito rivolto ai candidati, a cominciare da quelli abruzzesi alle elezioni politiche del 25 settembre: a lanciarli Alessandro Grimaldi, presidente regionale dell’Anaao, il sindacato dei medici, e primario nel reparto malattie infettive dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila.

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Il riferimento è all’iter di legge predisposto dal ministro per gli Affari regionali, Maria Stella Gelmini, interrotto con la caduta del governo di Mario Draghi, che mira alla messa a terra dell’accordo di autonomia differenziata siglato nel 2018 da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna con l’allora Governo di Paolo Gentiloni. Ovvero dell’attribuzione, da parte dello Stato, in via esclusiva per ora alle tre regioni, di una potestà legislativa su tutta una serie di materie, e con conseguente trasferimento delle risorse finanziarie necessarie a queste nuove deleghe. Il Veneto ha chiesto ad esempio di trattenere il 90% del gettito fiscale relativo ai cittadini ed alle imprese italiane che sono residenti, o hanno sede, in quella regione. In tal modo, si calcola, verrebbero meno circa 41 miliardi l’anno dalle casse dello Stato. Per quel che riguarda la Lombardia, invece, la perdita per l’erario dello Stato sarebbe di oltre 100 miliardi di Euro. L’Emilia-Romagna, infine, tratterrebbe 43 miliardi di euro. Considerando, quindi, le tre regioni si registrerebbe una perdita totale di 190 su 750 miliardi annui di gettito fiscale.

Visto che l’80 per cento ed oltre della spesa delle Regioni è per il sistema sanitario, Grimaldi esprime forte preoccupazione per le ripercussioni per quelle regioni come appunto l’Abruzzo, dove la spesa sanitaria pro capite per un cittadino è di circa 2.000 euro, ma il suo contributo fiscale non arriva a 200 euro e dove dunque la copertura della spesa regionale per la sanità, circa 2,7 miliardi di euro, è pressoché totalmente dovuta alla compartecipazione all’Iva, quasi 2 miliardi di euro. Per l’Abruzzo insomma il saldo è negativo, entrano meno tasse rispetto al fabbisogno.

“Su come e quando si farà l’autonomia differenziata – spiega Grimaldi -, c’è mancanza di informazioni. Non è ancora chiaro se e in che misura ci saranno meccanismi compensativi per le regioni più deboli, e come saranno finanziati. Non c’è ancora chiarezza su quali saranno le materie che potranno essere gestite direttamente dalle Regioni. Ma che le ripercussioni possano essere pesanti per il comparto sanitario è una preoccupazione fondata: l’autonomia differenziata non è un federalismo solidale, e già ora la sanità è a due, anzi a tre velocità, con le regioni del Sud rimaste indietro, con un servizio meno efficiente. Il paradosso poi è che da queste regioni le persone partono per gli ospedali del Nord, alimentando la mobilità passiva, che contribuisce a finanziare la sanità del Nord e dunque ad aumentare le differenze”.

La questione dell’autonomia differenziata per Grimaldi è strettamente connessa alla difesa della sanità pubblica e universalistica, una delle più grandi conquiste di civiltà.

“Il sistema sanitario nazionale ha bisogno di essere più unitario possibile perché il diritto alla salute deve essere uguale per tutti i cittadini – si accalora il primario -. Dal mio punto di vista è e rimane con tutte le sue contraddizioni, con tutte le sue differenze geografiche, uno dei nostri fiori all’occhiello perché non dimentichiamo che avere una sanità di tipo universalistico significa non dover pagare, o pagare in modo accettabile, per curarsi, soprattutto in un momento di crisi economica come quello che stiamo vivendo. Ben diversamente accadrebbe con una sanità di tipo privatistico, dove i cittadini devono stipulare assicurazioni, che molti non si possono permettere. In Svizzera, per avere accesso alle cure, si paga 500 euro al mese di assicurazione, una famiglia di quattro persone paga 2mila euro. In Italia con lunghe liste d’attesa dovute a carenze di personale, tecnologiche e organizzative già ora i pazienti sono costretti ad andare alle cliniche private, spendendo 30 miliardi di euro l’anno. Una ragione in più per riqualificare e difendere con i denti la sanità pubblica e universalistica, dire basta alla politica dei tagli, e anche eventualmente all’autonomia differenziata”.

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