Il 7 agosto di trentadue anni fa, Simonetta Casaroni veniva uccisa negli uffici dell’Associazione italiana alberghi della gioventù (Aiag), in via Poma 2, a Roma. Massacrata con 29 colpi d’arma bianca.
Trentadue anni dopo, rivelatesi infruttuose le piste seguite dagli investigatori, la verità non si è ancora accertata. Anche se negli ultimi mesi, qualche spiraglio sembra intravedersi.
La Procura della Repubblica di Roma ha aperto una nuova indagine per chiarire le implicazioni correlate alla ritrattazione di una testimonianza che, allora, convalidava l’alibi di un sospettato, che ora sembrerebbe quindi rientrare nell’indagine.
E, nel frattempo, la Commissione parlamentare antimafia sembra si stia orientando su altri scenari. Nei giorni scorsi, gli organi di stampa hanno riportato la notizia che sotto la lente di chi indaga sarebbero finiti due “alti uomini dello Stato”, forse coinvolti direttamente nell’omicidio, forse nei successivi depistaggi.
Ovviamente, è presto per parlare di effettivi sviluppi, il tutto potrebbe rivelarsi un’ipotesi non concretamente percorribile. Ma Fanpage riferisce che la Dia, Divisione investigativa antimafia, su incarico della Commissione parlamentare, sta effettuando nuovi accertamenti e analisi. Che sembrano orientarsi verso una pista ben precisa.
Un omicida con gruppo sanguigno A, mai coinvolto nelle indagini, mai ascoltato. Il soggetto, secondo questo nuovo corso investigativo, potrebbe aver ucciso la giovane non con un tagliacarte, come da molti finora ipotizzato, ma con un pugnale.
Commesso il delitto, in preda al panico, costui – rivelando una precisa conoscenza dello stato dei luoghi – sarebbe fuggito dalla scena del crimine, per una scala secondaria e avrebbe chiesto aiuto all’altro odierno sospettato, in grado, tramite suoi contatti, di porre in essere depistaggi e diversivi a livello di indagine. Il tutto con competenze forensi, grazie alle quali cancellare tracce e creare false piste, tra cui quella delle presunte chat di Simonetta su Videotel, poi comunque smentita da successivi accertamenti.
Uno scenario inquietante, quello prospettato dal quotidiano on-line e la prudenza è d’obbligo. Una eventuale conferma potrebbe giungere tra novembre e dicembre, quando la Dia dovrebbe concludere gli approfondimenti iniziati con l’audizione, tenutosi a Palazzo San Macuto nelle scorse settimane, di Paola Cesaroni, dell’avvocato della famiglia, Federica Mondani e dal giornalista Igor Patruno, uno dei massimi esperti della vicenda, che hanno portato all’attenzione della Commissione una serie di nominativi di insospettabili.
Sarebbero in corso anche accertamenti su presunti ricatti dei quali questi “uomini di Stato” sarebbero stati vittime, dopo un furto avvenuto il 16 luglio 1999 in un caveau della Banca di Roma di piazzale Clodio.
Gli autori del trafugamento avrebbero svuotato 197 cassette di sicurezza su 997, in precedenza contrassegnate con crocette rosse. Si sarebbe trattato di cassette di magistrati e alti funzionari, che custodivano materiale “sensibile”.
Sembra che la numero 456 appartenesse al presidente dell’Aiag, associazione di cui più volte si è supposto un legame con i servizi. Si ipotizza, ora, che in quella cassetta possano essere stati custoditi i nominativi dell’assassino e dei depistatori e che questi siano stati ricattati nel corso degli anni.
Un altro fronte su cui gli investigatori stanno svolgendo accertamenti riguarda l’orario della morte di Simonetta. Sembra possibile che sia avvenuta un’ora prima rispetto all’iniziale stima del medico legale, quindi intorno alle 16.30. Il che renderebbe necessario riconsiderare anche la telefonata che la giovane avrebbe fatto dall’ufficio verso le 17.15 (di cui peraltro da tempo alcuni dubitano), rivelatasi utile proprio per concorrere a “datare” la sua morte. Un altro depistaggio?
Via Poma: sviluppi nelle nuove indagini sull’omicidio Cesaroni