Roccacasale. “Bella assolata e gaia la mia Rocca, sotto l’usbergo del Castello antico, spande alla valle assorta, al verde aprico dolce armonia che nel cor rintocca”. Con questi versi il poeta Cesare Torelli affascina tutt’oggi lo splendore di Roccacasale, un paese di 598 abitanti, diamantato di luce sullo sperone del monte Morrone, significativa vetta dell’appenino abruzzese. Cesare Torelli nacque proprio in questa locazione il 17 maggio del 1913 e vi morì il 4 agosto del 2000.
Appassionato di svariate forme artistiche riscosse grandi consensi per le sue capacità multisettoriali. Fotografia, poesia, musica e pittura riflettendo sulla sua vita intrisa di ispirazione poliedrica, esaltarono il suo operato dando impulso ai colori del nostro presente, contribuendo con partecipazione alla nostra crescita cognitiva di un passato roccolano che sarebbe andato perduto se non ci avesse omaggiato dei suoi scatti fotografici, documentazioni storiche di elevata importanza rappresentativa.
Attraverso le sue poesie affiorano sceneggiature pregiate e dedicate alla sua terra. La sua musica tessendone gli stati emozionali, allietava in età acerba le serate del paese e animava, con il gradimento del pubblico, gli eventi e le ricorrenze generiche, estroiettando melodie date dal violino, dalla chitarra e dal suo strumento prediletto quale il mandolino. La pittura invece, ben rappresentata dallo stesso, ritraendo amabilmente i paesaggi, gli scorci di Roccacasale e i personaggi, ci induce alla sua personale interpretazione motivandone la bellezza estetica. Nel suo susseguirsi di versi poetici che riflettono nel cielo connesso dalla sensibilità panoramica, ne percepiamo la carezza elogiativa sull’ambiente che gli è appartenuto: “E l’aria fascinosa sua ridente canta l’azzurro dolce cristallino, quasi a specchiarvi l’alito divino, il cielo puro, il cuor della sua gente. Benedetto perciò è il mio paese e la sua gente fino a che s’eleva al di sopra delle vette e beva alla speranza delle luci accese”.
Un connubio di espressioni filosofiche si ergono dal monte Morrone sussurrandone l’infinito pensare che, candido, accompagna le genti di un luogo antico, in cui prevale la narrazione di un vissuto autentico, genuino, privo di ambizioni esibizionistiche, poiché accoglie la semplicità frutto dell’essenza naturale e la tramuta in ricchezza panoramica data dalla quotidiana suggestione emotiva. Possiamo pertanto, tradurne la forza del luogo, nell’identificazione percettiva dell’uomo che ascolta la natura circostante e i suoi processi naturali, senza confonderli con quel ‘troppo’ che sopprime il polmone del sinuoso monte Morrone che ospita la popolazione roccolana.
Ramificano quindi tessiture pregiate che, ossigenate dalle atmosfere del paese con la complicità del poeta Torelli, ci sottolineano con benevolenza il suo ricordo, giacché, con gratitudine, inondava le sue produzioni artistiche attribuendo loro un profilo specchiato di entità simbolo, che possiamo ben analizzare in questi versi conclusivi di una sua elaborazione di cui ne abbiamo ammirevolmente ereditato ogni virtù: “Nei vicoli contorti: nella notte l’arcano avvampa il battito nel petto; il puro amore, presso il caminetto a rinnovare il rito della grotta”.