Chieti. Viviamo in uno scrigno dei tesori, il nostro Abruzzo lo è… e ogni scoperta archeologica è certamente una conquista d’amore che, con grande rispetto e cura, si dona all’umanità. Visioni ed esplorazioni costanti ci fanno viaggiare indietro, per conoscere le nostre origini e le nostre evoluzioni culturali. L’Abruzzo, terra fertile e preziosa, nutrendo i suoi figli di buona conoscenza li prepara alla continua ricerca esplorativa delle sue risorse, evidenziando ogni beneficio che ne designa la storia dell’arte. Addentriamoci nella provincia aquilana, precisamente a Capestrano, un grazioso paese situato nella valle del Tirino che conta 841 abitanti. Ebbene, resteremo affascinati dalla sua area archeologica che corrisponde al sito dell’antica città vestina di Aufinum rientrando tra i siti archeologici più importanti d’Abruzzo.
Proprio in questa preziosa località, nel 1934, ci fu una grande scoperta che lasciò stupita l’intera popolazione, poiché l’agricoltore Michele Castagna, mentre stava dissodando la sua vigna, trovò un enorme patrimonio artistico, il famoso “Guerriero di Capestrano” ai tempi definito coloritamente dallo stesso “Lu Mammocce”. La particolare e scenografica scultura risalente al sesto secolo a.C. ci ha lasciato bensì, un forte stupore per la notevole dimensione ricavata da un unico blocco di pietra calcarea. Alta oltre due metri e con il copricapo dal diametro di sessantacinque centimetri, racchiude maestosamente un fascino enigmatico e, questo suo aspetto del tutto originale, ha fatto sì che tante supposizioni identificative ne alimentassero la contemplazione. Tra le ipotesi più creative, ma al contempo prive di ogni fondamento, il noto guerriero è stato affiancato ad un’origine aliena, altri invece hanno provato a fantasticarne l’immagine rappresentativa di uno dei sette re di Roma. Il suo aspetto è stato molto discusso e, ad oggi, continuano le ipotesi contrastanti per la sua fisicità. L’immagine possente e il suo ricco armamentario definisce il personaggio di un uomo con un elevato calibro, ma alcune caratteristiche anatomiche non fanno escludere una identità femminile.
Focalizzandoci sull’aspetto descrittivo, possiamo osservare che la statua in alcuni punti è dipinta di rosso, dando l’impressione di un’opera incompleta. Le braccia della stessa sono ripiegate sul corpo, la mano destra posata sul torace e la mano sinistra sul ventre. Di grande impatto visivo sono i fianchi poiché molto prosperosi, mentre il torace ha un aspetto del tutto virile. La testa, coperta da un grande copricapo, è stata motivo di approfondite analisi dacché il cappello poteva usufruire da elmo discoidale da parata o come da scudo fissato sul capo quando non si necessitava l’utilizzo. L’intera statua sorretta ai lati da due pilastri su cui sono incise delle lance, riportano anche delle incisioni in lingua italica arcaica con verso di lettura dal basso verso l’alto, di cui, il soprintendente archeologo di Roma Adriano La Regina ne ha tradotto la seguente definizione: “Me bella immagine fece Annis per il Re Nevio Pompuledio” scoprendo così l’identità del personaggio Pompuledio e probabilmente anche quella dell’artista che realizzò la scultura, ovvero Annis. Ma in questa documentazione l’assoluta verità non è ancora ben definita perché il guerriero potrebbe essere stato realizzato da Annis per il re, ma non necessariamente rappresenta il re, così come Annis potrebbe non essere l’autore della scultura ma il committente della stessa. Restano quindi delle supposizioni che alimentano la suggestione del mistero, degne di continue osservazioni e di approfondimento.
Intanto, il celebre guerriero continua ad omaggiarci della sua inesauribile fama e, dal 1959 è esposto a Chieti nel museo archeologico nazionale d’Abruzzo, all’interno della nuova sala permanente creata appositamente dallo scultore Mimmo Paladino, la cui sublime atmosfera, incentra la valorizzazione di questo capolavoro sottolineandone le forme con degli effetti di luce ed ombra, creando bensì, contrasti di sublime impatto che fanno riprodurre l’ombra della statua sul muro. Pertanto, in fase di analisi conclusiva, desidero prendere in prestito le bellissime parole di Lev Tolstoj che, in un certo qual modo, si accostano anche all’ambiente circoscritto in cui è posto lo stupefacente guerriero, proferendone questa stupenda immagine: “Tutta la varietà, tutta la delizia, tutta la bellezza della vita è composta d’ombra e di luce”. E nella luce di questo significante reperto, possa risplendere sempre anche il suo volto che, seppur stilizzato e per gli esperti riconducibile ad una maschera funeraria o di protezione, sprigiona un forte impulso identitario.