Pescara. “La mancata proroga del blocco dei licenziamenti oltre il 30 giugno, tra l’altro, rischia di creare una catena di licenziamenti anche per tanti lavoratori assunti con contratti a tempo indeterminato. Possiamo stimare in Abruzzo che il termine del blocco dei licenziamenti possa portare ad una perdita di posti di lavoro superiore alle 12.000 unità al quale si potranno aggiungere oltre 3.000 posti di lavoro bruciati in Molise. Un disastro sociale che deve essere scongiurato in ogni modo”.
A lanciare l’allarme è il segretario di Cgil Abruzzo e Molise, Carmine Ranieri. “Nonostante il blocco dei licenziamenti”, spiega, “il numero degli occupati in Abruzzo nell’ultimo trimestre 2020 rispetto al quarto trimestre 2019 ha visto un calo di 9.344 unità pari a -1,87%, dato tra i più critici delle regioni del mezzogiorno dove peggio dell’Abruzzo ci sono sono solo Molise e Sardegna. In Molise, infatti, il dato occupazionale è ancora più preoccupante: nel 2020 sono andati in fumo 3.280 posti di lavoro rispetto al 2019, con una flessione del 3,01%; ancora più consistente è stato il calo registrato nel quarto trimestre 2020: 9.320 occupati in meno, pari al -8,38%”.
“I dati sul lavoro”, sostiene Ranieri, “parlano chiaro: la crisi Covid si è abbattuta sui contratti a termine e sulle altre forme di precariato. Il 2020, secondo le ultime elaborazioni dell’Istat e del ministero del Lavoro, si è chiuso con 1,4 milioni di contratti temporanei scaduti e non rinnovati. Dunque il tema deve essere quello di disincentivare l’utilizzo del precariato e di incentivare il lavoro stabile a tempo indeterminato”.
“Rendere più oneroso l’utilizzo dei contratti a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato”. A chiederlo è il segretario di Cgil Abruzzo e Molise, Carmine Ranieri, che sostiene “non condivisibile la posizione di Confindustria che chiede di ridurre i limiti del contratto a termine e di intervenire per superare i vincoli legati alle causali e alla durata dei contratti”. Secondo Ranieri “già oggi vi è un eccessivo ricorso delle aziende a tali forme contrattuali se consideriamo che il contratto a tempo determinato rappresenta ben il 70% delle attivazioni totali”. Il segretario ha poi ricordato “che durante la crisi pandemica i lavoratori a tempo determinato sono stati i più colpiti dagli effetti del Covid: a dicembre 2020 risultavano quasi 393 mila in meno nella platea degli occupati rispetto a un anno prima”.
“Tra questi lavoratori”, sottolinea, “si annoverano principalmente giovani e donne, lavoratrici e lavoratori che non hanno potuto usufruire degli strumenti della cassa integrazione come i loro colleghi assunti a tempo indeterminato. Per questo motivo è necessario che l’utilizzo dei contratti a termine da parte delle imprese venga limitato al massimo e consentito solo a causa di motivate esigenze temporanee. Inoltre, una maggiore onerosità di tale istituto contrattuale rispetto al costo di una assunzione a tempo indeterminato fungerebbe da deterrente per quelle imprese che non avessero effettiva necessità di utilizzare lavoro precario”.
“Sarebbe altresì utile”, conclude, “ridurre la possibilità di utilizzo, ed in alcuni casi eliminare del tutto, le tante forme di lavoro precario che hanno lasciato senza sostegno economico tante lavoratrici e tanti lavoratori durante questa pandemia. In una fase così difficile per i lavoratori sarebbe necessario che tutte le forze politiche, sociali ed economiche siano impegnate a difendere il lavoro”.