L’Aquila. Dal 21 maggio al 17 ottobre 2021 l’Abbazia di Sulmona ospiterà all’interno dei suoi suggestivi spazi espositivi, collocati nel Refettorio e al primo piano, le due mostre intitolate Pietro Guida – Il Mito: lo specchio del mondo e Giovanni Hajnal – Sulle orme di Dante dalla lettura al segno grafico. Due esposizioni dedicate a grandi artisti, personalità poliedriche che hanno saputo incidere il loro nome tra i grandi della storia dell’arte contemporanea. Due rassegne che presentano preziose opere volte a indagare e rileggere in chiave contemporanea il concetto di Mito o a reinterpretare in maniera del tutto singolare i passi più coinvolgenti della Divina Commedia di Dante Alighieri, in occasione delle celebrazioni del settecentesimo anniversario dalla scomparsa del Sommo Poeta.
Nell’opera di Pietro Guida, che compie tra poco cento anni, la ripresa della tematica del Mito è funzionale alla decantazione del reale, cristallizzato e immerso nelle figure che sono quasi visioni oniriche, sospese in una dimensione astorica e atemporale. La sua arte è sempre essenziale, immediata, riconoscibile, scevra da orpelli e abbellimenti, è la testimonianza di ciò che è, non di ciò che dovrebbe o vorrebbe essere. Le 14 sculture presenti in mostra incarnano testi fantastici, leggendari, sono narrazioni viventi che echeggiano l’eternità cristallizzandola in un attimo, trascinando lo spettatore in un passato mitico, aureo e primigenio, che si rende presente attraverso la naturalezza dei gesti, l’immediatezza delle forme, la franchezza di linee. Le sue solide visioni sono fantasmagorie a cui il pubblico è invitato ad assistere e a partecipare, congiungendosi all’espressione di un’arte che sintetizza sentimenti, passioni, emozioni quotidiane assurgendo alla potenza dell’ineffabile. Prometeo, il Minotauro, Orfeo, Leda, Apollo e Dafne, Endimione e Selene, Icaro, sembianze mitiche e mitologiche, protagoniste di affascinanti leggende, vivono ognuna immersa nel proprio magico mondo, sprofondate all’interno di un intimista e claustrale hortus conclusus degli incanti che fa della fascinazione e della decantazione spasmodica della vita e della realtà il proprio palcoscenico. La vita, del resto, è anche il punto cardinale da cui muovono sostanziandosi i disegni di Pietro Guida. Essi tendono a veicolare la storia personale, il vissuto che ogni scorcio, forma, linea, sussulto trascina con sé. Le visioni ieratiche e adamantine di questo artista non rappresentano, bensì interpretano, traducono, poetano, decantano. Ciascuna figura-apparizione, infatti, affronta il qui e ora, rifiutando di recitare un ruolo, raccontando piuttosto di sé, del suo essere-esistere e occupare uno spazio vivente, confidandosi con noi, narrandoci, tramandandoci, connotandosi di volta in volta di libertà e purezza. I disegni di Guida sono tracce del futuro, progettano cosa sarà, finiture imperfette di un domani reso presente, lacerti di una realtà che si perpetua attraverso il mito, la leggenda, in un’eroica fuga dal banale che tenta di coniugare misticamente l’uomo e il mondo. Il disegno rivela, testimonia, attesta. Nell’opera grafica di Pietro Guida l’arte del segno è il contraltare speculare di ciò che scolpisce, solleticare il foglio con la matita equivale a incidere il cemento, a formare, nell’ accezione più pura del termine, la materia, la sostanza dell’opera che assume lo status inequivocabile di capolavoro, unico nel suo genere, votato alla natura e alla fantasia, ammantato di storia e di mito, di una mistica sacralità.
Il legame tra Giovanni Hajnal e il Sommo Poeta Dante Alighieri si è instaurato, intrecciato e mai più interrotto, grazie a un autentico colpo di fulmine. In tale frangente Hajnal subisce una potentissima esperienza di arricchimento esistenziale, oltre a una conturbante impressione immaginativa, di empatia con l’opera dell’inarrivabile maestro. Da quel preciso istante principia nell’immaginario compositivo e iconografico di Hajnal una fascinazione così stravolgente per le tre Cantiche dantesche tale da tradurne e trascriverne i passi più notevoli, preziosi e significativi eternandoli attraverso la propria magistrale arte incisoria. Dal 1980 Giovanni Hajnal matura l’idea di illustrare in maniera programmatica episodi che lo avevano letteralmente stregato vivificando così l’epopea di incisioni a tema dantesco, sentendosi particolarmente vicino ai versi dedicati alla sua terra natia, l’Ungheria, enucleandone, mediante un segno rigido, autoritario e solenne, non solo l’imperituro legame sentimentale con il proprio paese d’origine ma anche il profondo rapporto tra il Vate e quella straordinaria nazione. Le 14 opere presenti in mostra, realizzate con la tecnica dell’acquaforte, sono permeate da una strabiliante duttilità espressiva. Esse scandiscono, mediante un iter stilistico multiforme e variegato che abbraccia oltre vent’anni, il viaggio dantesco nei tre regni oltremondani della religione cattolica, effigiandone con estrema perizia compositiva principalmente i moti interiori, resi grazie al calibrato impiego di un segno che si fa aedo di accattivanti slanci emotivi e contrappunti sensori, che si compenetrano in linee marcate, forme geometrizzanti, volumi imponenti e brulicanti assetti spaziali tesi a trascinare il pubblico all’interno di una fiaba magica e al contempo grottesca. L’ars creandi di Hajnal mutua dal passato per mirare al futuro, un avvenire ripensato e riplasmato originalmente attraverso un innovativo linguaggio figurativo che mostra di saper armoniosamente coniugare la minuzia della cultura espressiva nordica con la linea calda e magmatica di matrice mediterranea. Le incisioni esposte esprimono l’universo dei sentimenti umani, cantano i conflitti interni, i brividi della paura di rimanere intrappolati e ancorati a qualcosa che non ci appartiene, le speranze di un’umanità in cerca di assoluzione. Hajnal traduce, superando i dettami del messaggio sacrale o simbolico insito nelle sue creazioni, i problemi dell’uomo moderno: l’antinaturalismo formale, le distorsioni grafiche, il dinamismo compositivo non fanno altro che trasporre l’inquietudine, il disagio esistenziale che affligge il nostro tempo e rappresentano una via di fuga dal labirintico incedere di un presente che forse percepiamo di volta in volta sempre più ingombrante.
Pietro Guida è nato nel 1921 a Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. Nel 1947 si diploma in scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli e si rende subito significativo protagonista del sovvertimento e della rinascita culturale della città partenopea, partecipando alle iniziative del Gruppo Sud. L’arco temporale a ridosso degli anni Cinquanta del Novecento si rivela fondamentale per Guida: non soltanto infatti suggella la sua partecipazione al cenacolo intellettuale partenopeo, ma principia quella che poi diventerà una febbrile e notevole attività espositiva. Inizia a ricevere diversi premi e riconoscimenti, riscuotendo larghi consensi in ambito nazionale, soprattutto per i suoi disegni, connotati da una linea potente e agile, il cui segno strizza l’occhio alla stilizzazione, pur mantenendo forma e figurazione quali elementi fondanti della ricerca artistica. A partire dagli anni Sessanta è professore ordinario di scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce, mentre dal 1971 al 1989 dirige il Liceo Artistico “Lisippo” di Taranto. Attore principale di una serie di esposizioni personali e collettive votate alla diffusione di una mise en scene densa di innovazione stilistica e originalità narrativa, dal 1960 al 1975 Guida rinuncia al dato mimetico e naturalistico della rappresentazione, congedando mezzi e materiali tradizionali dell’ars sculpendi, a vantaggio di un’incontrollabile attrazione per i materiali industriali grezzi, quali mattoni, tubi in eternit, ferro e acciaio, facendone assurgere la scabrosità e l’immediatezza a nucleo ispirato e creativo delle sue realizzazioni. Dalla seconda metà degli anni Settanta Guida sceglie di ritirarsi dall’attività espositiva, una defezione che gli consente di concentrarsi e focalizzarsi completamente su un nuovo ritorno al figurativo. Dal 1993 interrompe il silenzio espositivo inaugurando una personale improntata alla sua rinnovata ars creandi presso il Castello Carlo V di Lecce e vitalizzando una serie di iniziative che confluiranno nella fondamentale mostra antologica, allestita nel 2008 presso il Monastero degli Olivetani di Lecce, che ne ripercorre filologicamente e criticamente l’intera, movimentata e affascinante vicenda artistica. Nel 2011 partecipa alla 54ª edizione Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia nella sede regionale di Lecce – Padiglione Italia. L’ultima mostra, Pietro Guida-Piazza d’Italia nel 2020, ha avuto sede all’interno del suggestivo cortile del Castello di Copertino in Puglia, riscuotendo notevoli consensi. Le opere di Guida figurano all’interno di collezioni private e contesti museali di rilievo, quali il Museo Sforzesco a Milano, la Presidenza del CONI a Roma, la Collezione Finkelstein a New York, la Collezione Civica d’Arte Moderna a Bari, la Collezione Schulte a Düsseldorf, il Museo della Scultura Contemporanea – MUSMA a Matera. Dal 1951 vive e lavora a Manduria, in provincia di Taranto.
Giovanni Hajnal nasce nel 1913 a Budapest. Appena adolescente frequenta la prestigiosa Scuola d’Arte di Kecskemét. Ammaliato dall’Italia, nel 1931 a soli diciott’anni intraprende un entusiasmante viaggio a piedi dall’Ungheria in compagnia di altri giovanissimi scultori e pittori, partendo dal suo paese natale per godere dei tesori artistici custoditi nel nostro. Una nazione, quella italiana, che da sempre porterà, con ammirazione e reverenza, nel cuore, tanto da compiere un secondo itinerario di formazione nel 1933, che confluisce nella frequentazione dei corsi dell’Accademia di Belle Arti di Roma fino al 1934. Negli anni successivi, sino all’ indomani dello scoppio della seconda guerra mondiale, prosegue la sua esperienza culturale e la sua formazione artistica studiando all’ Accademia di Belle Arti di Stoccolma e a quella di Francoforte. Rientrato in patria, si iscrive all’ Accademia di Belle Arti di Budapest e intraprende un fruttuoso ciclo formativo che coronerà con il conseguimento del diploma. Quando il nostro Paese viene definitivamente liberato dalla dittatura, Hajnal inizia un’ intensa e appassionante carriera artistica, impreziosita dalla partecipazione a svariate esposizioni di pittura, la magistrale realizzazione di creazioni dalle gigantesche proporzioni, quali affreschi e dipinti murali prodotti mediante tecniche sperimentali, unitamente a vetrate istoriate e opere musive, e infine la fascinazione per una cospicua e febbrile produzione grafica, costituita da incisioni, disegni, illustrazioni di vario genere per riviste a sfondo letterario, critico e storico-artistico. Tale ammirazione per l’ arte grafica culminerà nell’ illustrazione dell’ opera capitale di Dante Alighieri, La Divina Commedia, mediante l’ acquaforte, tecnica di stampa a incisione su rame, di cui questa mostra presenta alcuni esemplari. Nel 1948 matura la decisione di trasferirsi in via definitiva nella sua amata Italia, stabilendosi insieme alla famiglia a Roma. A partire da quell’anno significativo, di svolta all’interno del corpus biografico dell’artista, un incipit che sembrò estremamente difficoltoso, egli non ha mai interrotto quella che poi effettivamente è divenuta una straordinaria e longeva carriera, protratta con dedizione per l’intero arco della sua vita, interrotta esclusivamente alla morte. Le sue opere sono conservate all’ interno di collezioni museali e private, nazionali e internazionali. Tra le opere pubbliche sono degne di menzione le vetrate per il Duomo di Milano, quelle per l’ Aula Paolo VI (Aula Nervi) in Vaticano, il rosone della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, i monumentali vetri per le chiese di San Leone Magno, Santa Maria Goretti, Santa Francesca Romana, oltre che per il nuovo penitenziario di Rebibbia, sempre a Roma. Hajnal ha prodotto inoltre opere in tutto il Paese: Udine, Prato, Teramo, Avezzano, Chieti, Latina, Sorrento, Bari, Cosenza, Catania. Tra le creazioni conosciute all’estero si annoverano vetrate per il Duomo a San Paolo del Brasile, a Hartford nel Connecticut, a Oakland in California, a Lucerna e infine per la Cattedrale di Palma di Maiorca. Anche le sue opere musive sono dislocate in tutto il mondo: a Caracas, a Saint Paul nel Minnesota, a Lincoln nel Nebraska, a Dublino. Muore a Roma nel 2010, all’età di 97 anni.