Sono state le madri durante il lockdown a fare la parte del leone nell’assistenza di bambini e ragazzi con malattie rare congenite, disabilitanti e croniche. Emerge da una ricerca nazionale condotta dalla Società italiana di malattie genetiche pediatriche e disabilità (SIMGePeD) in collaborazione con Associazioni di Malati Rari, UNIAMO e Telethon. I risultati dell’indagine, che ha coinvolto 1.500 famiglie, vengono resi noti alla vigilia della Giornata delle Malattie Rare del 28 febbraio. L’84% delle madri con figli malati rari ha detto di non aver lavorato fuori casa durante il lockdown e un aspetto positivo è stato proprio quello di dedicare più tempo (+81%) ai figli. Anche se la maggior condivisione degli spazi ha aumentato lo stress in famiglia nella metà dei casi (53%). “Il lockdown ha determinato una presenza più attiva dei genitori e ciò ha migliorato le relazioni intra-familiari”, ha spiegato Giuseppe Zampino, presidente SIMGePeD e professore dell’Università Cattolica.
“La paura che ha dominato questo periodo è che il loro bambino, essendo più fragile, si sarebbe potuto ammalare in forma più grave. Problemi sono emersi nell’assistenza per le complicanze acute: su 1.500 intervistati, circa 180 hanno segnalato che i figli hanno avuto un problema acuto e 80 di questi non hanno avuto le cure d’emergenza, spesso per paura di portare i figli in pronto soccorso”. La ricerca sottolinea poi che la didattica a distanza non sempre ha funzionato, soprattutto perché un terzo di questi bambini non ha ricevuto materiale scolastico personalizzato. Una nota positiva è che solo il 6% dei bambini non è stato contattato dai propri insegnanti durante il lockdown. Le interruzioni della riabilitazione e della scuola in presenza sono state le principali preoccupazioni delle famiglie.
“La riabilitazione e la scuola sono strumenti terapeutici e le famiglie hanno avuto paura di perderli”, ha concluso Zampino. La survey è stata pubblicata sul sito del Policlinico Gemelli IRCCS.