Il tasso di crescita dell’epidemia di Covid-19 sta rallentando, seguendo un andamento iniziato dalla quarta settimana di ottobre: è quanto emerge dall’analisi condotta dal fisico Roberto Battiston, dell’Università di Trento, che parte dalla fase acuta della pandemia, nello scorso febbraio.
“Allora il tasso di crescita ha raggiunto valori elevatissimi ed è stato necessario attivare il lockdown, azione che in poco più di un mese, a metà aprile, ha riportato il tasso di crescita prima a zero e poi negativo”, ha detto Battiston. “A metà aprile, infatti, il totale dei casi positivi ha raggiunto un massimo di circa 110.000, per poi ridursi e continuare a restare negativo anche dopo la riapertura del 14 giugno. Nonostante una crescita lieve è rimasto negativo fino ai primi di agosto ed è improvvisamente raddoppiato poco dopo la settimana di ferragosto, quando si è registrata il massimo di concentrazione e movimento di persone in tutta Italia e non solo. In settembre, però, il ritmo dei contagi ha “ripreso a scendere, nonostante la riapertura delle attività produttive: l’epidemia e la ripartenza sembravano potere convivere, grazie a tutte le norme del distanziamento sociale e alla minuziosa attività di tracing dei focolai. La corsa è ripresa in ottobre, quando il tasso ha ripreso a crescere molto rapidamente. Per capire che cosa è accaduto bisogna innanzitutto considerare che la trasmissione del virus avviene sulla base di due quantità, che devono essere compresenti: la frazione di persone infette presenti nella popolazione e la quantità dei contatti. In gennaio-febbraio la quantità di infetti nella popolazione era piccola, ma c’erano tantissimi contatti perché le persone con il virus, non essendo note, andavano ovunque. Questo ha provocato una crescita rapidissima dell’epidemia partendo da un piccolo numero di casi. Oggi la situazione è cambiata: il ritmo di crescita è 4-5 volte più basso che in gennaio-febbraio, ma siamo partiti a fine settembre da decine di migliaia di casi”. Come è accaduto? Molto probabilmente si è trattato dell’effetto diretto e indiretto della riapertura delle scuole, senza avere adeguatamente organizzato l’infrastruttura complessiva, inclusi trasporti, sport di contatto e le attività sociali dei giovani in generale”.
Se dovesse proseguire il rallentamento della curva epidemica osservato da fine ottobre si potrebbe raggiungere il picco all’inizio di dicembre, con circa un milione di casi, dopodiché si assisterebbe ad un graduale rallentamento: è quanto emerge dai calcoli eseguiti dal fisico Roberto Battiston. “Usando i dati disponibili per calcolare il tasso di crescita possiamo estrapolare l’andamento del totale del numero degli infetti attivi nel corso delle prossime settimane. Se l’attuale tendenza di riduzione del
tasso di crescita si mantiene, e il Dpcm degli inizi di novembre dovrebbe contribuire in tal senso, si prevede che a livello nazionale si raggiunga il picco agli inizi di dicembre per poi iniziare a scendere. Il numero degli infetti attivi a quel punto potrebbe raggiungere il milione, o forse meno se gli effetti dell’ultimo Dpcm saranno più marcati o se si aggiungeranno chiusure totali o parziali di altre regioni. In ogni caso la situazione deve essere continuamente monitorata per un ottimale gestione delle risorse sanitarie del Paese. Una crescita esponenziale come quella di ottobre non si sarebbe potuta gestire a lungo e le misure previste nei due Dpcm di ottobre, fortunatamente, sembrano avere ottenuto l’effetto di invertire l’andamento del tasso di crescita, mentre gli effetti dell’ultimo Dpcm si vedranno a partire dal 14-15 novembre. Le stesse considerazioni si possono fare per le singole regioni, ognuna delle quali mostra una dinamica diversa. Nel frattempo il totale nazionale dei casi continua ad aumentare al ritmo di 20-30.000 unità al giorno a causa di un andamento inerziale dell’epidemia: la crescita di un processo di contagio assomiglia al lancio di un razzo, fino a che i motori spingono il razzo accelera. Se si spengono i motori per un po’ il razzo continua a salire fino a fermarsi per poi tornare indietro. Se la crescita dei casi fosse continuata allo stesso ritmo attualmente i casi sarebbero già arrivati a 1,3 milioni, invece degli attuali 590.000”.