L’Aquila. Il nuovo coronavirus sta rendendo ancora più drammatico partorire in Africa. Secondo i dati più completi disponibili, relativi all’Uganda e resi noti dal Lacor Hospital, a metà marzo nel Paese le morti per parto sono aumentate a 46, contro le 16 registrate in gennaio. Una situazione resa ancora più drammatica dal lockdown, in programma nel Paese fino al 19 maggio. “Il divieto dei trasporti e il coprifuoco notturno stanno rendendo molto difficili gli spostamenti, non solo per le donne in travaglio. C’è la possibilità di essere trasportati in ospedale, se si ha un permesso speciale, ma molti non lo sanno o è troppo complicato da ottenere”, spiega Dominique Atim Corti, presidente della Fondazione Corti che sostiene il Lacor Hospital, fondato sessant’anni fa nel Nord Uganda dai suoi genitori, Piero Corti e Lucille Teasdale.
“Dai circa 500 parti che assistiamo in media ogni mese, ad aprile siamo scesi a 322. La differenza sono donne che quasi certamente partoriscono nei villaggi, senza poter far fronte alle complicazioni”, spiega Cristina Reverzani, medico volontario al Lacor Hospital.
“Una delle misure messe in atto dal governo è il divieto di trasporto pubblico, boda-boda (motociclette) e matatu (taxi collettivi), ovvero i mezzi utilizzati dalla maggior parte delle donne in gravidanza per raggiungere l’ospedale. Anche i pochi che hanno il loro trasporto personale devono ottenere l’autorizzazione dall’autorità sanitaria distrettuale. E questo richiede tempo”, spiega il Dr. Odong Emintone Ayella, direttore medico del Lacor Hospital dove è anche responsabile del reparto di Ostetricia e Ginecologia. “La situazione è destinata a peggiorare”, osserva Reversani. È infatti arrivata la stagione delle piogge “e con questa la malaria, un grande fattore di rischio per chi aspetta un figlio: la malattia, infatti, aggredisce la placenta e può portare alla morte del feto”. Oltre che malaria, nel Nord Uganda si muore anche di anemia, diarrea e polmoniti. L’ospedale si sta preparando anche ad affrontare la nuova minaccia della
pandemia causata dal virus SarsCoV2, organizzando reparti di isolamento e rifornendosi di dispositivi di protezione, i suoi medici affrontano le malattie della povertà. Nell’ospedale non si registrano al momento casi di Covid-19, ma se la malattia facesse la sua comparsa, conclude Dominique Atim Corti, “al Lacor troverebbe l’unico ospedale di tutto il Nord del Paese con dieci letti di terapia intensiva e un impianto di gas medicali che porta l’ossigeno al letto del paziente”.