Pescara. La sera del 11 marzo 2020, come per un appuntamento imperdibile, tutti gli italiani erano davanti la Tv in attesa del discorso del Premier Conte. Pronti ad ascoltare la conferma di notizie sempre più inquietanti, eravamo tutti là, in trepida attesa di decisioni ormai inevitabili. Considerate le dimensioni sovranazionali del fenomeno epidemico e l’interessamento di più ambiti sul territorio nazionale, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha decretato altre necessarie misure volte a garantire uniformità nell’attuazione dei programmi di profilassi elaborati in sede internazionale ed europea.
E’ pandemia. Si chiudono negozi, bar, ristoranti con poche eccezioni (quelli che commercializzano beni essenziali), su tutto il territorio nazionale. Chiudono quindi gli esercizi commerciali. Per il momento le attività produttive, se definiscono protocolli adeguati, e se possono mantenere le distanze di sicurezza adeguate, insomma se adottano provvedimenti adeguati per la protezione dei lavoratori, possono rimanere aperte.
Eppure si precisa che “fatte salve le attività strettamente funzionali alla gestione dell’emergenza, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, assicurano lo svolgimento in via ordinaria delle prestazioni lavorative in forma agile del proprio personale dipendente…e individuano le attività indifferibili da rendere in presenza.”
Ergo, le istituzioni scolastiche devono restare aperte. Avente contezza di quante persone in Italia vengono interessate da tale decisione e che quindi, nei prossimi giorni, ogni mattina dovranno uscire
da casa per recarsi al lavoro? Facciamo due conti velocemente: in Italia ci sono circa 8.000 istituzioni
scolastiche e volendo ridurre al minimo il numero del personale necessario per aprire la scuola e far funzionare gli uffici, con almeno 2 unità, si hanno circa 16.000 persone che in questi tempi terribili di
coronavirus, ogni mattina, dovranno mettere a rischio la propria salute.
A questo numero si aggiungono i circa 8.000 Dirigenti Scolastici, che, ogni giorno, saranno al loro posto in tutte le scuole, come responsabili e legali rappresentanti, ma soprattutto per infondere grinta ed entusiasmo e dire a tutti: passerà anche questo periodo nero. E’ dei Dirigenti il compito, non
semplice, di invitare i docenti ad attuare forme di didattica a distanza ed a tutelare il lavoro del personale di segreteria, cercando di garantire la loro e l’altrui salute.
Il Governo ha dato ai Dirigenti Scolastici la possibilità di attivare smart working, detto anche lavoro agile, ma i numeri non scendono di molto se le scuole devono comunque restare aperte. Adesso viene la domanda da mille punti: se, dal 5 marzo 2020 fino al 3 aprile 2020, gli alunni sono a casa perché le lezioni sono state giustamente sospese, quale servizio essenziale richiede la necessaria apertura delle scuole? È servizio essenziale, tanto da mettere a rischio, in questo momento critico, la sicurezza di tanti lavoratori?
Non servono eroi. In un momento di crisi ed emergenza, come quello che stiamo vivendo…c’è un esercito di persone che ogni mattina si muove per andare a lavorare. Le scuole hanno il senso dello Stato e rappresentano il suo volto migliore. La mobilità di migliaia di persone che devono raggiungere il posto di lavoro, semmai da altro Comune, senza motivi urgenti e indifferibili, non appare in linea con il provvedimento del Presidente del Consiglio.
Chiediamo a tutti di appoggiare la richiesta che viene rivolta dai dirigenti scolastici al Ministero dell’Istruzione e al Governo di porre fine alla mobilità di migliaia di cittadini senza motivo perchè essa non ci appare in linea con il Dpcm : sia data la possibilità ai dirigenti scolastici di poter gestire da remoto le incombenze amministrative indifferibili e di utilizzare lo strumento della reperibilità per tutte le necessità che dovessero sopraggiungere, tenendo presente che la didattica a distanza in generale è già attiva per moltissime scuole, ma non sta coinvolgendo fisicamente le sedi scolastiche.