Teramo. “Manca un aiuto, una guida, un punto di riferimento. Viviamo alla giornata. Bisognerebbe approfondire questa patologia, studiarla, fare ricerca. Bisognerebbe fare più informazione, si parla di tante malattie, ma non di questa e chi è costretto a scontrarsi con questa patologia non sa a chi
rivolgersi”. Racconta così il calvario che sta vivendo da anni una donna di 80 anni della provincia di Teramo, il cui nipote è affetto dalla sindrome Pandas, malattia non ancora riconosciuta dalla comunità scientifica.
Pandas è l’acronimo di “Pediatric Autoimmune Neuropsychiatric Disorder associated with
streptococcal infections”, in italiano “Disordine neuropsichiatrico infantile autoimmune associato a infezioni da streptococco”. Il termine indica quindi tutti quei disturbi manifestati dai bambini che hanno un’insorgenza precoce di disturbo ossessivo compulsivo o tic, correlata all’infezione da streptococco beta emolitico di gruppo A, batterio che molto spesso è responsabile di mal di gola e tonsilliti in età pediatrica.
Secondo alcuni studi, infatti, vi è una correlazione tra lo streptococco e il manifestarsi di disturbi neuropsichiatrici in età pediatrica. Il nipote della donna, dopo la diagnosi fatta tra mille difficoltà a Chieti tre anni fa, oggi vive in un istituto fuori regione e sta meglio. Va regolarmente a scuola, seppur con un insegnante di sostegno, i disturbi sono sotto controllo e potrà passare il Natale in Abruzzo con la sua famiglia.
“All’asilo mio nipote si isolava e aveva problemi a socializzare – racconta la donna – All’inizio pensavamo fosse solo un bimbo particolare, ma poi i sintomi si sono accentuati: quello più evidente era una violenza incontrollabile. Abbiamo iniziato ad informarci, abbiamo fatto una marea di accertamenti e tre anni fa siamo riusciti a fare una diagnosi e a capire che si trattava della sindrome Pandas. E’ stato sottoposto a diverse terapie, tra cui il lavaggio del sangue e l’infusione di gammaglobuline. Ora sta meglio e riesce a socializzare”.
Sottolineando che “accertamenti e terapie sono a carico del Servizio sanitario nazionale”, ma che “tutto il resto è a carico delle famiglie”, la donna – che chiede anche a centri di ricerca come Telethon – ribadisce che “ciò che manca sono punti di riferimento, centri specializzati, strutture che possano fornire informazioni ai familiari e che possano rappresentare anche un luogo di incontro e confronto tra chi è costretto a convivere con questa malattia”