L’Aquila. Di poco fa la notizia che la squadra dell’Aquila rugby non prenderà parte al campionato di serie A, cosa che non succedeva dalla stagione del 1965. Quando si perde qualcosa bisogna capire se è accaduto per una dimenticanza, un errore o semplicemente per sciatteria. Per oltre vent’anni il rugby aquilano è stato gestito da un manipolo di avventurieri assoldati da una certa politica, che hanno trattato la pallaovale come una cosa propria.
Quando all’indomani dello storico scudetto del ’94 si presentò l’opportunità di aprire le porte a chi per questo sport voleva investire sull’Aquila e per L’Aquila, quella stessa politica ha eretto un muro, cacciando lo straniero perché certe cose si pensava fossimo capaci di gestirle con il “pane e frittata”. Questo sport meraviglioso, nel frattempo, cambiava pelle, e il professionismo ha innescato trasformazioni a cui non si fu in grado di adeguarsi. Il piano inclinato, a cui i colori neroverdi erano destinati dopo la sciagurata finale persa nel 2000 al Flaminio – unico risultato degno di nota degli ultimi 25 anni insieme al titolo italiano giovanile del 1995 -, divenne ancora più ripido dopo il terremoto del 6 aprile 2009. Ricordiamo tutti gli spareggi per non retrocedere e quelli per la promozione che sono seguiti nel corso degli anni a quella tragica data.
Così come ricordiamo i 200mila euro dell’assegno che Berlusconi staccò nel 2010 per scongiurare la morte (sportiva) di una società ormai in picchiata. Per non parlare delle sponsorizzazioni da parte di società di respiro internazionale che hanno provato a sostenere il rugby aquilano. Quando, con la fine dell’Aquila rugby 1936, si è aperta la possibilità di creare un nuovo progetto sportivo, in pochi ci hanno creduto realmente e quelli che l’hanno fatto sono stati lasciati soli. Scordatevi la politica che bussa all’imprenditore di turno, ricattandolo e costringendolo a imbarcarsi in un’avventura da cui, prima o poi, tutti usciranno con le ossa rotte. Abbiamo creato le connessioni per far incontrare realtà sportive e imprenditoriali, ma poi il nostro compito, quello di chi amministra, si ferma lì. Se certi matrimoni s’hanno da fare, non è la politica che deve celebrarli. O almeno non siamo e non saremo noi a farlo. Nè ora nè mai. L’amore di questa terra per il rugby non finirà. Centinaia di ragazzi ogni giorno vanno al campo sportivo e si allenano, rafforzando una tradizione che, da oggi, sarà ancora più forte e solida. Che continuerà, anche quando questa ferita sarà finalmente guarita.