Avezzano. Emma Pomilio è tornata con un nuovo capolavoro letterario, tutto incentrato sulla storia dei Tarquini, la famiglia di origine etrusca che nonostante sia riuscita a far salire al potere ben due dei sette re, da molti è ancora considerata come una dinastia segreta, avvolta da misteri e intrighi affascinanti.
La storia parte dalle vicende di Lucumone e Tanaquil, che in rotta con i nobili di Tarquinia, scelgono di spostarsi in un’altra città, Roma, anche quest’ultima in grande espansione come la loro città natale. L’entusiasmante romanzo della Pomilio, il settimo scritto per la casa editrice Mondadori, ci trasporta in un’epoca lontana da noi ma per molti versi simile, aprendoci gli occhi su come integrazione ed immigrazione, siano tematiche già affrontate in passato e con maggior successo che non oggi.
Roma infatti, a differenza della loro città natale, li accoglierà a braccia aperte. Certo l’oro dei ricchi commercianti etruschi fa gola al re Anco Marzio, ma nel romanzo si capisce come il sovrano non punti ad un interesse personale, bensì veda nei Tarquini la possibilità di far compiere finalmente un salto di qualità a Roma, ancora indietro su alcuni aspetti rispetto alle più avanzate città etrusche. Roma è ben disposta verso gli stranieri, dimostrando ancora una volta che la sua vera potenza è sempre stata la sua multietnicità, e anche se rigidamente monoculturale, era ben capace di accogliere religioni e popoli diversi, purché tutto ciò servisse a vantaggio della collettività.
E questo nel romanzo di Emma Pomilio traspare magnificamente, poiché l’autrice riesce a raccontarci scenari e idee dell’antichità che noi, ancora oggi, facciamo fatica a comprendere e ad accettare. Lucumone, il personaggio con cui si apre il romanzo, proviene da Tarquinia, una potenza del Mediterraneo che era in conflitto e in concorrenza con Roma, ma questo non rappresenterà un problema per la società romana dell’epoca, che lo acclamerà come quinto re di Roma con il nome di Tarquinio Prisco.
Un altro tema interessante e attuale toccato dal romanzo è la possibilità della scalata sociale. Anche qui Roma sembra anni avanti rispetto alle nostre abitudini: Servio Tullio, il figliastro del re, nonostante fosse nato schiavo, diventerà il sesto re di Roma e un sovrano apprezzato, che dopo aver combattuto i privilegi dei patrizi in una lotta senza quartiere, aprirà la via al cambiamento, con grandi riforme che porteranno Roma a diventare una potenza nel Mediterraneo. Tarquinio Prisco e Servio Tullio, un “forestiero” e uno schiavo che diventano re. Non sono tante le società e gli stati democratici, oggi, che vantino un’apertura mentale come quella della Roma dell’epoca.
Ma nel bellissimo romanzo della Pomilio, narrato come sempre in maniera magistrale, superba e storicamente ineccepibile, si affronta anche un altro tema molto importante, ovvero il peso della responsabilità e le difficoltà nel ricoprire certi ruoli. Grazie alla storia scelta dalla scrittrice si capisce perfettamente il peso e il dolore che comportano alcune scelte fatte dalle famiglie reali, che riescono a mettere da parte interessi e affetti familiari, per un bene più grande e che vada a vantaggio di tutta la collettività. Un concetto che oggi tanti governanti sembrano non aver compreso, che antepongono ancora il loro benessere a quello degli stati che guidano. Nel romanzo della Pomilio, invece, si capisce benissimo quanto sia difficile portare sulle spalle il peso di una città, o ancor peggio, di un intero popolo, ma soprattutto si capisce a quali sacrifici sia chiamato un re e quanto questo ruolo costerà dolore a lui e a tutta la sua famiglia.
Tra battaglie e assedi, intrighi di palazzo e liti familiari, terribili scene di morte e piccanti scene di sesso, il romanzo della Pomilio oltre ad essere estremamente piacevole da leggere, è dotato anche di quel pizzico di avventura e di glamour che lo rendono ancor più interessante e avvincente. Con il suo ultimo lavoro la Pomilio ci accompagna in un’epoca apparentemente molto distante dalla nostra, ma che ci consentirà di rivedere la nostra idea di società, che noi continuiamo a definire moderna, ma che messa a paragone con quella dell’antica Roma, non possiamo far altro che riconsiderare.