L’Aquila. La Suprema Corte di Cassazione ha giudicato inammissibile il ricorso presentato dall’ex rettore dell’università dell’Aquila Ferdinando Di Orio, confermando la condanna a due anni e sei mesi di reclusione inflitta dalla Corte di Appello di Roma con l’accusa di induzione indebita nei confronti del professore dello stesso ateneo Sergio Tiberti. Di Orio dovrà risarcire civilmente Tiberti. Con la condanna che diventa definitiva, il 71enne, per una decina d’anni a capo dell’Ateneo, già senatore del centrosinistra, rischia la detenzione, pur essendo la pena inferiore ai tre anni.
Secondo la recente legge “spazzacorrotti”, per condanne legate a reati del genere, tecnicamente è previsto l’arresto immediato con detenzione in carcere, anche per imputati con oltre 70 anni. Tuttavia è in corso un dibattito serrato, che coinvolge anche la Corte Costituzionale, sull’applicazione retroattiva o meno della legge. L’ultima parola spetta alla Procura generale presso la Corte di appello di Roma. In alcuni casi si è deciso per la non retroattività e in tal senso ci sono pronunciamenti della Cassazione. I legali di Di Orio – Guido Calvi, del foro di Roma, ex componente del Csm, e Mauro Catenacci, del foro di Avezzano – mirano a limitare i danni con la concessione di una misura alternativa, tra cui i servizi sociali.
In primo grado, Di Orio era stato condannato a tre anni di carcere e cinque di interdizione dai pubblici uffici per aver indotto Tiberti, con il quale in passato aveva avuto buoni rapporti, a consegnargli denaro non dovuto, oltre a regali anche molto costosi per decine di migliaia di euro. Tra i due si è innescato un duro contenzioso giudiziario.