L’Aquila. Appena dopo il suo centenario, la Grande Guerra sembra già non essere un fatto attuale, né tantomeno sembra riguardarci, stampato com’è sui libri di scuola. Ieri, in una sala del Gran Sasso Science Institute, il giornalista e scrittore Aldo Cazzullo, alla presentazione del suo ultimo lavoro “La guerra dei nostri nonni” ha mostrato al pubblico il contrario. Il libro contiene i diari, le lettere e le testimonianze dirette di coloro che in quegli anni c’erano. Tra le letture di alcuni brani da parte della moderatrice Michela Santoro ci sono stati momenti di commozione pura. Scrive il sottotenente Adolfo Ferrero ai suoi cari, il giorno prima della sua fine:” O genitori parlate, parlate, fra qualche anno, quando saranno in grado di capirvi, ai miei fratellini, di me, morto a vent’anni per la patria.” Il ricordo, riflette Cazzullo, sembra ossessionare i giovani soldati come lui, il desiderio che la loro memoria non scompaia nella polvere della battaglia. Tra le pagine dello scrittore riemergono le fucilazioni sommarie dopo un ammutinamento (o semplicemente dopo un mancato saluto verso un superiore), la pazzia nella mente di alcuni reduci stravolta dai massacri e dal dolore, il ritorno a casa di alcuni prigionieri cinque anni dopo la stessa fine del conflitto. Se molti intellettuali ebbero grosse responsabilità in tutto questo, altri lo vissero in prima persona. Che dire ad esempio dei fogli stropicciati, scritti in trincea,di un giovane soldato di nome Giuseppe Ungaretti, affidati ad un commilitone e consacrati poi all’immortalità della letteratura? La guerra non fu solo disperazione. Cazzullo elogia la forza morale di quegli italiani che non solo combatterono, ma vinsero, per difendere i loro cari e respingere lo straniero. Oggi retorica su cui ridere, a quei tempi la salvezza del nostro Paese. E le donne? Che ruolo hanno avuto? Se non fosse stato per loro, confida il giornalista, probabilmente l’Italia non avrebbe neanche vinto la guerra. Crocerossine, giornaliste (e persino spie!) al fronte, contadine e operaie nelle città e nelle campagne: sostituirono gli uomini in moltissime attività.
La storia in questi casi ha molto da insegnare, ancora oggi. E’ per questo che, scomparsi gli ultimi testimoni di una delle guerre più devastanti di ogni tempo, è nostro dovere morale quello di tramandarne il ricordo. Afferma infatti lo scrittore a conclusione dell’incontro: “Oggi ogni generazione ha la sua guerra da combattere. Oggi tutti noi italiani dobbiamo combattere la guerra contro la crisi e L’Aquila in particolare ha anche la sua guerra contro la sfiducia. Io penso che noi non dobbiamo arrenderci, non possiamo farlo, anche per rispetto di noi stessi e dei nostri antenati, perché io sono convinto che quella forza morale e quella capacità di resistenza che dimostravano in trincea non possa essere andata dispersa con il passare delle generazioni e sta a noi ritrovarla dentro noi stessi ed accenderla dentro i nostri figli.” Diego Renzi