Avezzano. Una lettera. Ha ringraziato gli agenti del commissariato di Avezzano in forma anonima, con una lettera, inviata il 25 novembre, nel giorno diventato simbolo della lotta contro la violenza alle donne.
È una lettera che ridà speranza e fiducia, che può dare un chiaro segnale a chi troppe volte non ha il coraggio di denunciare. Perché la violenza contro una donna non è solo materiale, può essere anche psicologica, può essere fatta di vessazioni, ingiustizie, tormenti.
La lettera che pubblichiamo è un ringraziamento ai poliziotti del commissariato di Avezzano ma diventa un ringraziamento a tutte le persone in divisa che ogni giorno accolgono chi timidamente riesce a varcare la soglia di una caserma per denunciare.
Salve a tutti,
Non scriverò il mio nome per ovvi motivi, anche se sarà facile dedurlo tra colleghi.
Esattamente un anno fa, feci la scelta più difficile della mia vita.
Ero terrorizzata, disperata, non vedevo futuro alcuno.
Fu mia madre, che avevo perso pochi mesi prima, a spingermi a denunciare.
Era buio, faceva freddo, e la distanza da percorrere da casa mia a quella luce bianca e blu che vedevo come mia unica possibilità di salvezza, fu infinita.
Quel pomeriggio, dopo l’ennesima ingerenza, dopo l’ennesima minaccia di portar via mio figlio e dopo l’episodio che aveva appena decretato il culmine del possesso e della prevaricazione fisica e verbale, presi il mio bambino ed entrai da voi.
Mi chiesero quale tipo di denuncia dovessi sporgere.
“Stalking, credo”.
Ma capirono subito che non era “solo” quello.
Mi spostarono dalla grande sala di accoglienza, immediatamente, in una stanzetta appartata.
In meno di tre minuti ero seduta dinanzi a qualcuno di voi, non so che grado, non so chi fosse.
Cominciai a spiegare la situazione. Ho due figli avuti da due relazioni differenti e il primo commento fu “bhè, si è data da fare eh?” – risata”.
Ero gelata.
Il giudizio. Eccolo lì. Davanti a me.
La paura che si materializzava.
Nessuno mi avrebbe creduta. Sarei stata la “poco di buono” che si inventava storie per colpire il malcapitato ex?
“Ho sbagliato a venire” pensai.
E invece no.
Qualcuno mi riconobbe.
Qualche agente (spero di non offendere nessuno sbagliando il grado) che era intervenuto in una diatriba passata, che riguardava me e la persona che stavo per denunciare, si ricordò di me.
Uscì fuori il verbale, cominciarono a farmi capire che la situazione era a loro (umanamente) ben chiara già da allora.
Furono tre ore lunghe, in cui il mio piccolo gnomo non fece un fiato. Non si staccò mai dal mio abbraccio, quasi in rispetto di quel rigoroso silenzio che la scelta che stavo compiendo, avrebbe dovuto accompagnare.
Sapevo bene che la mia vita sarebbe cambiata, per sempre.
Ma non sapevo ancora come.
Dopo poco, non ricordo se un giorno o due al massimo, venni richiamata.
Dovevano chiedermi delucidazioni, chiarimenti.
Tornai, stavolta da sola.
Vi scrivo questa lettera, perché se oggi sono viva, ho ripreso la mia vita in mano, il mio lavoro, la mia normalità lo devo alla persona che ha preso in carico la mia situazione.
Perché mi ha creduta.
Ha capito in pochissimo tempo dove stava la verità.
Ecco… la verità.
Sappiamo bene tutti che la verità giuridica, quella legale, non è sempre corrispondente alla verità dei fatti.
Eppure io ero stata creduta.
Creduta.
Ed è stato quello che mi ha permesso di andare avanti, di lottare, di non mollare.
Sono la testimonianza vera di chi ha potuto contare sul vostro supporto. Di chi si è sentita tutelata e protetta dalla legge e dalle forze di Polizia.
Ho cominciato a capire che in qualunque momento, giorno e notte, avrei potuto alzare il telefono, e qualcuno sarebbe corso.
Sapevo esserci una volante passare spesso sotto casa mia, o nelle vicinanze. Ero in costante contatto con quello che ho veramente visto come un Angelo, con chi ha salvato la mia vita.
È inutile negarlo.
Non potevo contare su nessuno, allora.
Ed ho avuto la fortuna di imbattermi in qualcuno, che ha fatto di questo mestiere una missione.
Mi hanno vista piangere, disperarmi. Mi hanno ascoltata, risentita, decine e decine di volte.
Quando accadeva qualche altro evento, e ad ogni integrazione di denuncia dove io piangevo a singhiozzi, vedevo i loro sguardi (di tutti, nessuno escluso) e sapevo e sentivo che mi avrebbero voluta abbracciare e dire, vedrai… andrà tutto bene.
Andrà tutto bene.
Come risuonano strane, oggi, queste parole.
Ora, io non lo so se andrà tutto bene.
Al di là di come si evolveranno le questioni penali, i processi, i gradi di giudizio, i Pubblici Ministeri, i GIP, i GUP, i diversi tribunali, gli avvocati, i servizi sociali e tutto il tritacarne in cui sono finita dentro, non so proprio se andrà tutto bene.
Ma so che IO vi devo dire GRAZIE.
Grazie per il lavoro che fate, grazie per le accortezze e l’umanità che utilizzate. Grazie anche se ci ricordiamo della vostra importanza, solo quando siamo in grave difficoltà.
Siete l’ultima speranza, l’ultimo baluardo prima del baratro. Siete gli eroi su cui tutti contano, quando nessuno sa cosa fare ed il pericolo è vicino.
Grazie per non avermi lasciata da sola, a combattere i mei mostri.
Grazie per essermi stata accanto, sempre.
Grazie di tutto.
Ed, infine, scrivo anche per dire che si può e si DEVE denunciare.
Perché nonostante tutto quello che poi bisognerà superare, niente, ripeto, niente potrà essere come l’inferno che si viveva prima.
E dal quale non sarei mai uscita, senza una luce, una speranza.
E la mia luce, in questo caso, è tinta di bianco e di azzurro.