Chieti. Esattamente ottanta anni fa – il 2 e il 4 novembre del 1944 – sui cieli sopra le vette più alte della Maiella si consumarono due terribili tragedie del volo in cui trovarono complessivamente la morte ben 16 aviatori militari americani di età compresa tra i 20 e i 29 anni. Non si trattò di abbattimenti in conseguenza di scontri con i tedeschi, perchè il fronte di guerra della “Campagna d’Italia” cinque mesi prima si era già spostato più a Nord, ma di incidenti provocati probabilmente da malfunzionamenti delle apparecchiature tecniche di bordo e, soprattutto, innescati o favoriti dalle micidiali e infide condizioni meteorologiche che si creano sul massicio della Maiella. «Ottanta anni dopo – afferma Lorenzo Grassi, giornalista esperto di vestigia belliche – il racconto dettagliato di queste vicende, oltre a costituire un doveroso omaggio al ricordo del sacrificio di giovanissime vite, può e deve valere da forte e attuale monito contro la follia di tutte le guerre».
Lo schianto della “Fortezza volante”. Quei rottami arrugginiti sparsi sulle pietraie d’alta quota, tra stelle alpine e camosci, sono lì a perenne memoria del passaggio della Storia. Il primo a precipitare nel circo glaciale sotto i Tre Portoni, il 2 novembre del 1944, fu il B-17G americano con matricola 44-6399 che ancora non aveva un soprannome perché era entrato in servizio da soli tre mesi. Una ventina di giorni prima quel velivolo aveva partecipato ai bombardamenti degli Alleati su Bologna, ma il 2 novembre del 1944 stava svolgendo una missione d’addestramento di routine su territorio “amico”. Per questo l’equipaggio a bordo della gigantesca “Fortezza volante” era stato ridotto a cinque uomini: il pilota 22enne George Reilly, il copilota 20enne Arvin C. Hildebrand, il navigatore 22enne Richard J. Glattly, il tecnico di volo/mitragliere 22enne Benjamin “Ben” F. English e l’operatore radio/mitragliere 21enne Melvin C. Talley. Le salme di Reilly e Glattly da allora sono rimaste in Italia e riposano per sempre nel Cimitero militare americano di Firenze. Tra nebbia, vento e ghiaccio. Il B-17 era partito alle 9.18 del mattino dalla base Usa di Amendola, vicino Foggia, e secondo le istruzioni del piano di volo avrebbe dovuto seguire a 10 mila piedi di altezza – circa 3.000 metri di quota – la rotta per Roma, Napoli e Taranto, per poi rientrare alla base. Invece sparì nel nulla. Quel giorno le condizioni meteo non erano delle migliori e diversi equipaggi avevano segnalato nebbia, raffiche di vento ad oltre 90 km/h – che sospingevano fuori rotta – e formazione di ghiaccio sui velivoli. «Questi due fattori, insieme ad una visibilità incerta, potrebbero spiegare l’incidente con la perdita di tutto l’equipaggio – spiega Gianluca Mazzanti, presidente dell’Associazione Archeologi dell’Aria – non ci fu infatti alcun tentativo di contatto radio. Evidentemente l’aereo andò a cozzare contro la Maiella in maniera repentina; si spaccò in più parti e prese immediatamente fuoco, senza dare modo a chi era a bordo di potersi lanciare con il paracadute».
L’equipaggio della “scimmia”. Due giorni dopo – il 4 novembre 1944 – non si lanciò fuori nessuno neanche dal B-24H “Liberator” americano con numero di serie 42-95239, soprannominato “Ape” (“scimmia”), che finì per schiantarsi nell’alta Valle del Forcone al cospetto dell’impressionante parete Nord del Monte Acquaviva. Il bombardiere rientrava da una missione sullo scalo di smistamento ferroviario di Kufstein in Austria e l’equipaggio era al completo con undici componenti. Non ci fu scampo per nessuno: il pilota William R. Young, il copilota James F. Mark, il navigatore 29enne J. W. Morris (che aveva compiuto 29 anni da tre giorni), il bombardiere 21enne Jerold Dwight Smith, i mitraglieri Gerald J. Bousquet (24 anni), Robert K. Ferguson (22 anni), Charles A. Wehn, Thomas Erie Dubuisson (20 anni), Henry E. Shields (21 anni) e William James Price (che avrebbe compiuto 23 anni due giorni dopo lo schianto), infine il fotografo 29enne George A. Gurunian. Sette di loro, compreso il pilota Young, sono sepolti al Cimitero militare americano di Firenze. Tutti sono stati insigniti delle onorificenze Air Medal e Purple Heart. In volo solitario verso i monti. Il 4 novembre 1944 il B-24H “Ape” era decollato dalla base di Castelluccio dei Sauri in Puglia, dove avrebbe dovuto fare ritorno insieme agli altri bombardieri al termine del raid in Austria. Invece fu visto per l’ultima volta mentre era in volo sull’Adriatico davanti a Rimini. Gli uomini a bordo degli altri velivoli dello stormo riferirono che “Ape”, verso le 14, «si è staccato senza alcun apparente motivo dalla formazione». Il bombardiere – che non era stato colpito da contraerea né attaccato da caccia nemici – iniziò a dirigersi solitario verso la costa, per poi finire a sbattere molti chilometri dopo contro la Maiella. «La spiegazione più credibile di questo coportamento anomalo – spiega ancora Gianluca Mazzanti – potrebbe essere quella di un improvviso malfunzionamento del sistema centrale di erogazione dell’ossigeno, che in breve tempo potrebbe aver fatto perdere i sensi in contemporanea a tutto l’equipaggio in conseguenza di una ipossia dovuta alla quota». Il fatto che l’ultimo avvistamento fosse avvenuto sul mare, ha depistato per lungo tempo i tentativi di identificazione. Lo schianto sulla montagna, però, non passò inosservato agli abitanti dei paesi ai piedi delle vette che, come in molti altri casi, salirono per recuperare quanto era possibile.
Un museo dedicato agli aerei caduti. Oltre ai rottami del B-17 e del B-24 precipitati 80 anni fa, sono una decina i siti di cadute di aerei di diverse nazionalità avvenute durante la Seconda guerra mondiale che sono stati individuati e documentati in questi anni dal gruppo Macr (Maiella Air Crash Research). Più volte i ricercatori hanno lanciato un appello a tutti i possibili testimoni diretti o indiretti di questi tragici episodi ad inviare eventuali segnalazioni di aerei caduti o di rottami avvistati scrivendo alla mail: [email protected]. «L’importanza e la consistenza di queste particolari tracce di memoria storica – sottolinea Lorenzo Grassi, componente del team Macr – ci hanno spinti a proporre al Parco Nazionale della Maiella e a tutte le istituzioni locali di mettere mano alla realizzazione di un sito museale che possa ospitare e illustrare i reperti raccolti sul terreno, magari con un’operazione di recupero anche di quelli più imponenti rimasti sparsi in montagna, riunendoli e ricostruendo le vicende di questi velivoli e dei loro equipaggi. Si tratta di un’operazione di divulgazione scientifica e di memoria storica che, affiancandosi alla avviata valorizzazione del Cammino della Linea Gustav, può sicuramente portare importanti ricadute turistiche».