L’Aquila. Nei primi del Novecento un piroscafo italiano naufragò al largo delle coste spagnole: era conosciuto come Sirio, e trasportava centinaia di italiani che speravano in un futuro migliore, chiamati anche allora “migranti”. Da questa tragedia nacque la canzone di Giovanna Marini, poi ripresa e consegnata al vasto pubblico da Francesco de Gregori. Nel 2015 un barcone proveniente dalla Libia affonda prima di raggiungere le coste siciliane, provocando la morte di settecento persone. Il relitto verrà poi riportato sulla terraferma per volontà del governo italiano, al termine di una costosa operazione di recupero. Due episodi, lontani storicamente, eppure così vicini, valgono da spunto di riflessione per il primo degli incontri del neonato Festival della Partecipazione, dal 7 al 10 luglio a L’Aquila. Promosso da ActionAid Italia, CittadinanzaAttiva e Slow Food Italia con il Comune dell’Aquila, prevede conferenze, spettacoli, tanta musica e buon cibo, nella chiave profonda della partecipazione. Il festival promette bene già dai suoi esordi, data la statura intellettuale dei suoi ospiti (il patron di SlowFood Italia Carlo Petrini e il fondatore di Libera Contro le Mafie don Luigi Ciotti) e la delicatezza del tema trattato: l’immigrazione. “Occorre bonificare la palude dell’indifferenza e dell’egoismo. C’è un deserto culturale, che piaccia o no a qualcuno, di fronte al quale siamo chiamati a interrogarci e riflettere. C’è chi ha costruito consensi dipingendo lo straniero come un nemico, come un violento e un usurpatore. Ci sono persone nel nostro Paese con nomi e cognomi che hanno alimentato e stanno alimentando ancora oggi tutto questo”. Severe le parole di Luigi Ciotti, che con i 1600 coordinamenti di Libera combatte giorno dopo giorno per il cambiamento, e che ricorda anche i 4 milioni e mezzo di italiani sotto povertà assoluta e gli otto milioni nella fascia di povertà relativa. “Non basta commuoversi, bisogna muoversi!”, grida, ammonendo il suo uditorio in Piazza Duomo. Se la violenza dilaga, è anche colpa della scarsa cultura e della mancanza di coscienza storica. Il nostro popolo deve avere la memoria di quello che è stato, afferma Petrini. Ventiquattro milioni di persone hanno abbandonato l’Italia a cavallo tra ‘800 e ‘900. “Era gente umile, che lasciava le sue terre: questo è il nostro paese”. Ma bisogna saper osservare anche il presente, a partire dall’Aquila: “Io vedo questo fiorire di cantieri, mi dicono che più della metà degli operai non sono italiani, neanche abruzzesi. Allora, vogliamo dire che sono nostri fratelli? Vogliamo dire che domani, quando farete questa straordinaria idea del pranzo della cittadinanza con gli operai, sarebbe molto bello che ci siano anche loro? Perché se questa città troverà la sua antica gloria, lo sarà anche per loro!”. “Gli immigrati oggi tengono in piedi più della metà del made in Italy alimentare. Se voi pensate che dalle mie zone si produce grande vino Barolo e nella vostra idea c’è che il Barolo lo fanno i piemontesi, dovete aggiornarvi: il
Barolo si fa perché ci sono 10000 macedoni nelle vigne, che lavorano benissimo e si integrano benissimo nella comunità piemontese, perché sanno cosa significa lasciare la propria terra. Se qualcuno di voi pensa che il Parmigiano Reggiano, simbolo del made in Italy lo fanno i padani, non è aggiornato: ci sono più di diecimila famiglie di indiani sikh col turbante, che vanno a mungere le vacche. L’amata Val D’Aosta: come è buona la fontina della Val D’Aosta, ma non la fanno i valdostani! Allora, domanda: sono o non sono nostri fratelli? Sono o non sono contadini italiani?”. Ci sono poi i migranti sfruttati nei campi di pomodori, simbolo della schiavitù in Italia, pagati un euro al quintale. Ma come partecipare al cambiamento? Iniziamo dall’informarci quando andiamo a negozio, comprando prodotti controllati e magari del nostro territorio. Smettiamo di essere consumatori e diventiamo co-produttori di ciò che mangiamo. Perché Dio, come ricorda don Ciotti, vive in terra, non in cielo; vive nei volti e nel dolore di chi ha bisogno. L’unità di misura dell’essere umano è la Relazione, ma sempre più viviamo “accanto” e non “insieme”. Cominciamo allora a costruire insieme, a riconoscere noi stessi nell’altro, perché la diversità è un dono. In questo contesto, le grandi parole dell’esistenza umana ottengono rinnovato valore, si liberano dall’inquinamento dell’abuso. Sembra vestire gli abiti del suo collega, Petrini, richiamando la compassione, l’umiltà, la lealtà, la generosità. Ma si tratta di vera e propria economia, non quella della finanza e delle multinazionali: io soffro perché l’altro soffre, aiutando lui, aiuto me stesso; questo crea una realtà virtuosa. “Sono parole fondative dell’economia”, spiega, ” perché pre- economiche”. Ciotti aggiunge alla lista la parola verità: per le stragi di mafia, per le stragi di ogni tempo. Ed infine il coraggio: non possiamo chiedere agli altri, se non abbiamo più il coraggio di essere noi il cambiamento che vogliamo. “La terra promessa su questa terra”,dice, ”è l’impegno insieme per costruirla”. @DiegoRenzi